Nativa di Agnone, l’Atene del Sannio, figlia di Erminio Trabucco, docente di Storia dell’Arte, artista, architetto, giornalista, potente e lirico cantore della bellezza, quale sintesi formale che rivela l’euritmia del cosmo; e di Mattea Messina, docente di matematica presso il Liceo Scientifico di Salerno, Adelaide Trabucco procede sulle orme culturali e artistiche dei genitori. Alla formazione al Liceo Classico, seguono la Laurea in Lettere e Filosofia (Università di Salerno) con una tesi in Storia della Critica d’Arte; e, con entusiasmo, l’insegnamento nelle Scuole Superiori delle discipline umanistiche e in particolare della Storia dell’Arte, dopo la vincita del Concorso a Cattedra per esami e titoli.
Ha collaborato con quotidiani, settimanali e riviste specializzate; con la cattedra di Filosofia Teoretica del professore Marcello Caleo (Università di Salerno); ha curato cataloghi e mostre personali e collettive. Senza tralasciare l’insegnamento della Storia dell’Arte, ha nel contempo assecondato la sua vocazione spirituale ed artistica conseguendo il Grado Accademico di Magistero in Scienze Religiose accompagnato da una tesi critica su “La Cristologia di Dietrich Bonhoeffer”. Ha svolto attività di collaborazione e ricerca presso l'Archivio Storico Diocesano di Salerno, diretto da monsignor Vittorio Giustiniani. Ha frequentato il biennio iniziale dell’Accademia di Belle Arti di Napoli - Cattedra di Pittura del maestro Armando De Stefano. Ha approfondito la tematica della “scrittura” dell’icona, "finestra sul cielo", la quale avvicina l’anima a Dio e consente di passare dal tempo e dallo spazio quotidiani a un incontro con il tempo trasfigurato e redento in Cristo, Verbo di Dio Incarnato, seconda Persona della Santissima Trinità: il tempo del Regno dei Cieli. A tal fine ha seguito diversi Corsi di formazione: il più significativo, il Corso biennale Fondamentale di Iconografia presso la Scuola Iconografica di Seriate che, in contatto con i migliori iconografi russi, insegna le antiche tecniche della ‘scrittura’ di icone.
Nel 2005 le viene affidato l’incarico di elaborare e seguire il progetto cromatico riguardante la ristrutturazione interna della Chiesa di Maria SS. del Carmine e S. Giovanni Bosco a Salerno, per la quale ‘scrive’ anche un’icona monumentale avente come prototipo la Madre di Dio della Tenerezza di Vladimir.
Nel 2012 pubblica il libro Memorie storiche e artistiche di Chiauci e delle sue Chiese, frutto di lunghe e rigorose ricerche condotte nell'Archivio Parrocchiale della Chiesa di S. Giovanni Evangelista nel borgo medievale fortificato di Chiauci, in Molise. Lo studio documenta la presenza della fattiva comunità della Terra Clavicorum, la Terra delle Chiavi, le sue antiche vicende storiche, la fede e la creatività, non soltanto artistica, che hanno caratterizzato i suoi abitanti. Il testo è accompagnato dalla Prefazione del Vescovo di Trivento, S. E. Domenico Angelo Scotti, e dalla Presentazione di mons. Domenico Antonio Fazioli, Vicario Generale della Diocesi. Il libro è corredato da un ricco apparato iconografico volto non soltanto a confermare i contenuti della ricerca, ma anche a comunicare attraverso le immagini quanto non sempre le parole sono capaci di esprimere. Il volume è stato presentato il 15 dicembre 2012 in Roma a Palazzo Valentini, sede della Provincia, nel prestigioso salone "Di Liegro".
Pubblica nel 2021 il libro-Catalogo “Erminio Trabucco. Le opere e i giorni” ove porta alla luce lo scambio osmotico tra la dimensione dell’arte e quella della vita in Erminio Trabucco, punto di riferimento culturale del Molise nel Novecento. Egli studia Arte a Isernia, poi a Firenze. Accompagna la creazione artistica alle partecipazioni alle mostre d’arte che incontrano gli apprezzamenti della critica e del pubblico, come si evince dalla documentazione pubblicata nel volume. Il testo è stato elaborato, difatti, seguendo il principio delle fonti primarie come essenziale strumento a disposizione dello storico per gettare qualche luce sul passato. Le testimonianze proposte provengono dall’Archivio privato fatto realizzare per il nostro Autore da sua moglie, la professoressa Mattea Messina, imperniato sul Fondo miscellaneo da lei costituito. Il Fondo abbraccia la corrispondenza epistolare, i progetti di architettura, i disegni, le fotografie, i cataloghi, gli articoli di quotidiani e riviste. Erminio Trabucco si dedica con passione anche all’insegnamento che svolge per 23 anni ad Agnone, l’Atene del Sannio, dove nell’immediato dopoguerra è uno dei fondatori del Liceo Scientifico. Scriveva Erminio Trabucco nel 1935 in una pagina autobiografica: <<È in me un istinto profondo, innato del realismo come concezione di vita e concezione di arte>> ( Manoscritto autografo, firmato e datato: “Erminio Trabucco Chiauci, 2 ottobre-21 novembre 1935”, b. 6, fasc. 12.2.). Erminio Trabucco rimane fedele a se stesso, pur operando in un contesto culturale e artistico ove, come è noto, dopo l’Impressionismo, l’arte si discosta dalla riproduzione oggettiva della realtà e della natura: le investigazioni degli artisti d’avanguardia conducono alla ricerca degli elementi costitutivi dell’arte, alle esplorazioni del suo metalinguaggio suscitando l’interesse sia da parte di molti critici d’arte, incuriositi dalle nuove modalità espressive, sia da parte delle gallerie alla moda, alla ricerca di nuove e diversificate fasce di pubblico e di mercato. Erminio Trabucco, non adeguandosi al conformismo dell’anticonformismo, e senza cadere nel descrittivismo, pericolo insito in ogni realismo, nella stessa pagina autobiografica precedentemente citata afferma: <<Sento che il senso del naturale, del vero anche nel colore mi imprigiona e mi soggioga>>.
Per Adelaide Trabucco la dimensione storica e artistica del passato, indagata senza mediazioni ideologiche, o politiche né, tantomeno, partitiche è ponte e radice per proiettarsi con slancio e consapevolezza verso il futuro, secondo le parole di san Paolo: <<Sappi che non sei tu che porti la radice, ma è la radice che porta te>> (Rm XI, 18b).
Dall'Inno Akathistos a San Michele Arcangelo
Giovanni Antonio da Pesaro, pittore per sensibilità e formazione vicino a Gentile da Fabriano, dipinge una rara effigie che coniuga l’iconografia della Madonna del Mantello o Madonna della Misericordia con l’iconografia bizantina della Madre di Dio del Segno, conosciuta in Italia nelle aree dov’erano maggiori i contatti con l’oriente, quale, nel nostro caso, la costa adriatica. La tavola, realizzata per il Santuario di S. Maria dell’Arzilla vicino Pesaro, di origine medievale, è firmata, datata, nonché ulteriormente storicizzata dall'indicazione dell’identità del Committente. Alla base del dipinto si trova una dettagliata iscrizione, in lettere gotiche di color rosso, che attesta: “Giovanni Antonio Pesarese ha dipinto. Ave Maria. Nell’anno del Signore 1462 il giorno 8 dicembre questa immagine di S. Maria della Misericordia commissionò la comunità di Saltara”.
Compare in Occidente nel XIII secolo la rappresentazione della Vergine del Mantello la quale per la sua misericordia copre i fedeli con il suo manto in un gesto di protezione, di difesa, di amore.
SIMONE MARTINI: Madonna della Misericordia o del Mantello - 1305-1310 ca. - tempera e oro su tavola - Pinacoteca Nazionale di Siena
Proponiamo in questa sede anche la Madonna del Mantello dipinta da Domenico di Michelino nel 1446 circa e restaurata nella Bottega di Francesco Granacci agli inizi del secolo XVI. È precisamente appellata Madonna degli Innocenti o Madonna dei Gittarelli, dipinta sullo stendardo del brunelleschiano Spedale degli Innocenti. L’Istituzione volle scegliere per sé tale denominazione che richiamasse la erodiana Strage degli Innocenti (Mt 2, 1-16) poiché sorse a Firenze nel 1448 per accogliere i neonati lasciati, “gittati”, nella ruota a conca dalle madri che, per varie ragioni, non potevano allevarli – da qui l’appellativo di Madonna dei Gittarelli. Sono bambini e bambine di età differenti e dal conseguente diverso abbigliamento: alcuni in fasce, altre parzialmente fasciati e con le gambine libere, altri con bianchi vestiti a camicina, altri con il grembiulino nero recante lo stemma degli Innocenti, un bimbo avvolto nelle fasce. Nella loro diversità li accomuna l’espressione dolce, serena e mesta dei visi, la naturale vivacità dell’età che si manifesta, pur nella compostezza della messa in posa per il ritratto, nel repentino volgersi delle teste e nel vario incrociarsi degli sguardi, i sentimenti di affetto e protezione gli uni verso gli altri e la richiesta di amore e difesa nei riguardi della Vergine, esplicitamente manifestata dal bimbo che si appoggia con abbandono e confidenza al corpo della Madonna che, sotto il mantello, indossa la lunga veste rossa della Charitas divina.
DOMENICO di MICHELINO: Madonna del Mantello o Madonna degli Innocenti - 1446 ca. - tempera su tela - Galleria dello Spedale degli Innocenti, Firenze
La Madre di Dio del Segno è un’immagine di derivazione bizantina di cui Andrè Grabar individua magistralmente le origini nell’iconografia del tema dell’incarnazione e della concezione, nell’ambito della categoria dei dogmi raffigurati da immagini giustapposte. Nell’iconografia usuale dell’incarnazione un raggio di luce discende su Maria e la colomba dello Spirito Santo vola su di lei o discende verso il suo orecchio. A partire da questa iconografia consueta, verso il IX secolo nell’Impero bizantino se ne sviluppa un’altra: Maria in preghiera con le braccia alzate nel gesto dell’Orante e il Bambino racchiuso in un clipeo sul petto di lei. Questo singolare motivo era una convenzione per mostrare, per così dire in trasparenza, il Bambino che doveva nascere[1]. L’effigie manifesta le parole del profeta Isaia: “Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele”[2]. L’evangelista san Matteo, il più attento alla continuità ed alle anticipazioni e corrispondenze fra Antico Testamento e Vangelo, legge nella profezia di Isaia l’annuncio della nascita di Gesù, l’Emmanuele ovvero il Dio-con-noi, il Segno dato da Dio – da cui il nome di Madre di Dio del Segno assegnato all'icona.
Madre di Dio del Segno o Platytera - XIII secolo - tempera e oro su tavola - Monastero di S. Caterina sul Sinai
La tavola di Giovanni Antonio da Pesaro raffigura la Madonna della Misericordia o del Mantello mentre copre con il suo manto i fedeli, recando sul petto non un clipeo, ma una mandorla, simbolo dell’universo che custodisce al suo interno il Bambino di cui viene messa in risalto la divinità. Egli è raffigurato nudo con un lieve panno di rispetto sui fianchi, ben saldo in piedi, mentre con la mano destra benedice e con la mano sinistra regge una sottile croce astile che all’incrocio dei bracci presenta il globo, altro simbolo del Creato, a sottolineare il concetto del governo misericordioso di Cristo sull’universo.
Se è vero che nel cuore della madre c'è il figlio, in questo caso singolare nel cuore della creatura c'è il Creatore, colui che “i cieli e i cieli dei cieli non possono contenere, né tantomeno il Tempio"[3]. Egli in Maria “ha fatto grandi cose guardando l’umiltà della sua serva"[4] la quale da san Basilio, Padre della Chiesa, è appellata Platytera, la più vasta dei cieli tanto da accogliere il Verbo fatto carne, colui che i cieli non possono contenere: “Tu, sede di Dio, l’Infinito”[5] – canta l’inno liturgico Akathistos (V-VI secolo). Ed è colui il quale nella Madonna della Misericordia e Madre di Dio del Segno fa vedere Gesù, segno e strumento della Misericordia del Padre, in lei “clemenza di Dio verso l’uomo / fiducia dell’uomo con Dio”[6].
Con preghiera di citare la fonte in caso di utilizzazione del testo per motivi di studio.