Il quadro della Beata Vergine del Santo Rosario di Pompei e Serafini, dipinto da Adelaide Trabucco nel 2007, è stato un atto di devozione per una grazia ricevuta attraverso la preziosa intercessione della Beata Vergine del Santo Rosario venerarata nel Santuario di Pompei, nella consapevolezza che altre grazie, tanto più numerose, le saranno palesi soltanto in Cielo.   

 

   All'usuale iconografia, l'Autrice ha voluto aggiungere l'immagine dei Serafini come presenza invisibile ma reale che di certo circonda la Madre con il Figlio Divino, e che si dispiega esplicitamente o implicitamente nell'iconografia rosariana nel corso dei secoli.    

 

 

Iconografia rosariana

 

di Adelaide Trabucco  

 

 

 

 

 

La preghiera del Rosario nasce nel XII secolo quando i monaci Cistercensi, partendo dalla tradizione di dedicare alla Vergine una corona di rose, elaborarono una speciale ghirlanda: una preghiera che chiamarono appunto Rosario, paragonata ad una mistica corona di rose offerte alla Madonna. Questa devozione viene perfezionata e resa popolare da san Domenico il quale, secondo l’asserzione del Beato Alano de la Roche, nel 1214 riceve il primo rosario dalla Vergine Maria che lo indica come rimedio per la conversione dei non credenti, per la salvezza dei peccatori e per sconfiggere l’eresia albigese. Fiorisce così la devozione del S. Rosario: suoi propagatori sono i Domenicani che  con la  loro predicazione lo divulgano nell’intera Europa e che hanno inoltre il merito di creare le Confraternite del Rosario.

Il frate domenicano Giovanni da Fiesole, al secolo Guido di Pietro, era un grande innamorato della Beata Vergine Maria e del Rosario. La tradizione narra che, giovane frate, ritornava una sera al convento, recitando il Rosario. Attraversava la campagna. Gli apparve la Regina del Cielo; tanti Angeli le stavano vicino, cantando ed intrecciando una corona di rose. Il frate interruppe la recita del Rosario per contemplare quella scena di Paradiso. Gli Angeli interruppero pure il canto e lasciarono incompiuta la corona di rose. Sorpreso, il Beato Angelico ripigliò la preghiera e gli Angeli ricominciarono a cantare. Ad ogni Ave Maria, una nuova rosa veniva inserita nella corona. Terminato il Rosario, il serto di rose fu presentato dagli Angeli a Maria. Il frate non dimenticò più la visione. Si sforzò di riprodurla in pittura. Trascorse la vita nella preghiera e nel lavoro, lasciando una grande quantità di quadri, rappresentanti la Madonna e gli Angeli.

Venne chiamato Beato Angelico per la sua capacità di ricreare l’atmosfera angelica che circondava i soggetti religiosi che ritraeva nei suoi dipinti, rinnovando nel Quattrocento l’arte sacra secondo la nascente visione rinascimentale alla quale aderì in modo sublime in termini di luce, di colore e di spirituale grazia. Negli ultimi istanti della vita, mirò a lungo in alto, quasi trasfigurandosi in viso per l'emozione; poi esclamò: “La Madonna è molto più bella di quanto io l'abbia dipinta!” E spirò. E’ significativo che  fra Giovanni  è l’unico artista, in tutta la storia della Chiesa, nel cui processo canonico  non sono stati allegati scritti  teologici o spirituali ma il catalogo completo dei suoi capolavori di arte e di fede. Sempre  Giovanni Paolo II il 18 febbraio 1984 lo ha proclamato Patrono Universale degli Artisti. 

 


BEATO ANGELICO: Madonna col Bambino, Angeli e Santi - (part.) - 1448 - Galleria Nazionale dell'Umbria, Perugia 

 

L’orazione del Rosario riceve il suo battesimo ufficiale nel 1569 ad opera del papa san Pio V che emana una specifica bolla, Consueverunt Romani Pontifices. In concomitanza con la struttura definitiva della preghiera, si origina l’iconografia riguardante la Beata Vergine del Santo Rosario della quale la prima rappresentazione conosciuta è la silografia che orna il frontespizio della seconda edizione dello Statuto (1477) riguardante la prima Confraternita del Rosario eretta a Strasburgo nel 1475 dal frate Giacomo Sprenger priore dei domenicani di Colonia. La città nel 1474 aveva scongiurato il pericolo della guerra grazie alla protezione della Vergine invocata, su ispirazione di Sprenger, mediante il Rosario. Superato il pericolo della guerra, viene istituita la Confraternita: i primi iscritti sono l’imperatore Federico III e il legato pontificio, vescovo Alessandro Malatesta.

 

 

Sono i personaggi raffigurati nella silografia: la Beata Vergine in trono col Bambino, entrambi ritratti mentre porgono corone di rose. Il Bambino si volge al vescovo Malatesta, davanti al quale è inginocchiato il priore Sprenger, la Vergine si rivolge a Federico III, imperatore del Sacro Romano Impero, ai piedi del quale è inginocchiata la moglie Eleonora d’Aviz, infanta del re di Portogallo, Edoardo.

 

 

Alla prima Confraternita istituita in Italia dal domenicano tedesco Giovanni di Erfordia, nella chiesa di S. Domenico di Castello a Venezia, risale un secondo prototipo di iconografia del Rosario: la copertina dello Statuto presenta una xilografia stampata verso il 1480 - attualmente al Museo Nazionale Germanico di Norimberga - che vede la Beata Vergine in piedi, senza il Bambino Gesù, le mani giunte in preghiera., circondata da Angeli in volo, mentre ai suoi piedi sono inginocchiati il frate Giovanni di Erfordia e un laico elegantemente vestito dalle cui mani giunte pende la corona del Rosario – forse Leonhard Vilt, fondatore della confraternita del Rosario a Venezia.
 

ALBRECHT DÜRER: La Festa del Rosario - 1506 - Narodni Galerie, Praga

 
La Festa del Rosario, celebre dipinto di Dürer, si ispira all’iconografia della Confraternita di Colonia e ad altri precedenti iconografici legati a questo tipo di devozione come i Rosenkranzbild (immagini del Rosario) in cui la Madonna è raffigurata nell'atto di distribuire serti di rose bianche e rosse al popolo in venerazione, presenti i membri di ogni classe sociale. In Dürer le supreme autorità della terra, dal Pontefice Sisto IV all'Imperatore Federico III (che l'Artista ritrasse con le sembianzr del figlio Massimiliano I), al cospetto della Vergine hanno deposto in terra rispettivamente il triregno e la corona imperiale, chinandosi con devozione per ricevere le ghirlande di rose che la Vergine e il Figlio pongono sul loro capo: le uniche corone ammesse sono quelle del Rosario distribuite dalla Beata Vergine e dal Bambino, aiutati da san Domenico e dagli Angeli, a tutti i presenti, dall'Imperatore al soldato, dal Patriarca di Venezia, al Cappellano, ai semplici fedeli. Non è un caso che tutti i devoti del Rosario appartengano alle varie classi sociali: all'interno del popolare scritto devozionale Il Rosario della gloriosa Vergine Maria, nel capitolo "Ammonitione per entrare nella fraternità", si sottolinea che la Confraternita del Rosario "abbraccia tutti, cioè ricchi e poveri, huomini e donne, signori, prelati, re et principi, et niuno è escluso" (dall'edizione di Venezia, presso Gio. Antonio Bertano, 1587). L'opera è scritta a Venezia nel 1521 dal domenicano Alberto di Castello al quale si deve anche la struttura del Rosario di 15 Pater noster e di 150 Ave Maria, semplificata rispetto alla complessità della precedente configurazione, e codificata nella bolla Consueverunt Romani Pontifices, datata 12 settembre 1569 - dove per la prima volta si trova una precisazione spirituale di fondamentale importanza, ovvero che la meditazione dei Misteri del Rosario (non la meccanica ripetizione delle preci) è la condizione necessaria per ottenere le indulgenze.

 

 

ANTOON van DYCK: La Madonna del Rosario con san Domenico e santa Caterina da Siena e i santi Vincenzo Ferreri, Oliva, Ninfa, Agata, Cristina e Rosalia  - 1625-1627 - Palermo, Oratorio di S. Domenico, Presbiterio

 

 Gli artisti italiani predilessero una diversa iconografia che valorizzava il ruolo svolto da san Domenico: la Vergine, su una nuvola, si mostra a san Domenico inginocchiato e gli porge la mistica corona, come nella suggestiva pala d’altare di Antoon van Dyck commissionata in occasione della peste che aveva colpito Palermo nel 1624, e consegnata nel 1628. Il dipinto raffigura la Madonna del Rosario con san Domenico e santa Caterina da Siena e i santi Vincenzo Ferreri, Oliva, Ninfa, Agata,Cristina e Rosalia, e fu realizzato per volere della Compagnia della Madonna del Rosario, che nel 1574 aveva fatto edificare il mirabile Oratorio del Rosario di S. Domenico accanto all'omonima chiesa.


 ADELAIDE TRABUCCO: Madonna del S. Rosario di Pompei e Serafini. San Domenico - ( part.) - 2007 

 

 

L'iconografia della pittura italiana privilegiò anche un altro schema iconografico che presenta la Beata Vergine in trono con il Bambino sul braccio destro: la Madre di Dio dona il Rosario a santa Caterina, il Figlio lo porge a san Domenico. Lo schema nasce nell'ambito dei Domenicani del Convento di Castello a Venezia - un'immagine si trova nella succitata opera di Alberto di Castello - e su di esso si fonda l'iconografia della Vergine del Rosario di Pompei (Cfr. Gilles Gérard Meersseman, Ordo Fraternitatis. Confraternite e pietà dei laici nel Medioevo, 3 voll., Herder, Roma 1977, vol. 3, pp. 1163-1218). 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ADELAIDE TRABUCCO: Madonna del S. Rosario di Pompei e Serafini. Santa Caterina - (part.) - 2007  



 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                           

La preghiera del Rosario riceve un grande impulso dalla vittoria di Lepanto da parte della  flotta cristiana partita per far fronte ai Turchi che minacciavano l’integrità e l’identità territoriale, culturale e spirituale dell’Europa. Il pontefice san Pio V si adoperò in tutti i modi per unire i cristiani in una Lega. Così l'imperatore, il granduca di Toscana, Venezia, l'Ordine di Malta e parecchi principi italiani armarono una flotta. La Lega Santa partì dal porto di Messina il 7 ottobre 1571 verso le 12 del mattino e in vista della flotta turca (nel golfo di Patrasso, nell’area denominata Lepanto) su ogni nave fu celebrata la Messa, mentre i frati Francescani, Domenicani e Gesuiti a prora delle galere tenevano i crocefissi alzati e benedicevano i soldati. Le fonti storiche riportano che anche il Papa a quell’ora si raccoglieva in preghiera. La feroce battaglia durò cinque ore e costò la vita a circa 8.000 cristiani, consentendo la liberazione di 15.000 schiavi cristiani e segnando la fine della supremazia turca nel Mediterraneo.

 

 


 PAOLO VERONESE: Allegoria della battaglia di Lepanto - 1572 - Gallerie dell'Accademia, Venezia  

Paolo Veronese dedicò alla battaglia di Lepanto due rappresentazioni, nelle quali si ritrova il suo specifico cromatismo luminoso e intenso. Un’opera si trova nel Palazzo Ducale, Sala del Collegio ed è un quadro votivo, denominato Sebastiano Venier ringrazia il Salvatore per la vittoria di Lepanto, proposto al concorso ufficiale istituito dalla Repubblica di Venezia nel 1571 per la celebrazione della battaglia di Lepanto: in alto è raffigurato Cristo imperator mundi nella gloria celeste, ai suoi piedi in adorazione Sebastiano Venier, che diverrà doge di Venezia, e Agostino Barbarigo. Lontana strutturalmente è l'Allegoria della battaglia di Lepanto - appellata anche La Vergine accoglie le suppliche dei Cristiani e permette la Vittoria di Lepanto 7 ottobre 1571. La tela rappresenta due scene ben distinte ma fortemente collegate fra loro. Nello spatium coeli la personificazione di Venezia (o della Fede) appare avvolta in un candido manto mentre viene presentata alla Madonna.s L'accompagnano i santi Pietro, Rocco, Giustina e Marco. In secondo piano, sempre nella zona superiore, si trova una schiera di Angeli. Nello spatium terrae viene raffigurata la battaglia navale di Lepanto.

 

San Pio V, che aveva ordinato la recita del Rosario in tutta la Cristianità, il 7 ottobre vide soprannaturalmente la vittoria prima ancora che gli ambasciatori trasmettessero la notizia a lui e a tutta Europa – la notizia giunse a Roma per via ‘ordinaria’ il 21 ottobre -  e attribuì la vittoria a “Maria aiuto dei cristiani”, stabilendo che il 7 ottobre fosse commemorata S. Maria della Vittoria. Un dipinto di Lazzaro Baldi, datato 1673 e conservato nel Collegio Ghislieri di Pavia dove san Pio V aveva insegnato teologia, raffigura san Pio V mentre ha la visione della battaglia di Lepanto.

   Papa Gregorio XIII in seguito istituì definitivamente il giorno 7 ottobre in onore della Madonna del Rosario. In tutta Europa le nazioni festeggiarono l’evento, basti pensare che la regina Elisabetta I d’Inghilterra, benché scomunicata dal pontefice, considerò Lepanto un trionfo dell’intera cristianità, una garanzia di sopravvivenza per i valori che reggevano l’Europa e ordinò alla chiesa Anglicana di indire cerimonie di ringraziamento a Dio. A Venezia la vittoria fu celebrata intonando il Te Deum di ringraziamento. Il Senato Veneto, che pure era composto da uomini fieri e addestrati a sfidare i più gravi pericoli in mare e in terra, attribuì alla Madre di Dio il merito principale della vittoria e sul quadro fatto dipingere nella sala delle sue adunanze fece scrivere queste parole: “Non virtus, non arma, non duces, sed Maria Rosarii, victores nos fecit”, ovvero, “Non il valore, non le armi, non i condottieri, ma la Madonna del Rosario ci ha fatto vincitori”.

 

Degno di attenzione è il dipinto di Grazio Cossali, S. Pio V attribuisce alla Madonna del Rosario il merito della vittoria di Lepanto (1597, Chiesa di Santa Croce di Bosco Marengo, vicino Alessandria). Nello spatium coeli la Beata Vergine dona il Rosario a san Domenico, mentre il Bambino lo consegna  a santa Caterina che gli indica il luogo della battaglia di Lepanto. Nello spatium terrae san Pio V si rivolge con lo sguardo allo spettatore e con la mano gli mostra i personaggi celesti, veri artefici della vittoria. Alla sinistra del pontefice si scorge suo nipote, il cardinale Michele Bonelli che aveva guidato i negoziati per costituire la lega delle nazioni cristiane. Alla destra di san Pio V sono raffigurati in atteggiamento di preghiera l’imperatore Filippo II e il doge Alvise I Mocenigo. In molti quadri dipinti dopo la battaglia di Lepanto, difatti, compaiono, insieme con la Madre di Dio ed il Bambino Gesù, a san Domenico e santa Caterina da Siena,  anche gli artefici della Lega Santa contro i turchi e della vittoria di Lepanto: san Pio V, l’imperatore Filippo II, Don Juan d’Austria, fratellastro dell’Imperatore e comandante della flotta cristiana, Anna d’Austria, consorte dell’Imperatore ed altri protagonisti storicamente individuabili. Accanto ad essi vengono raffigurati anonimi gentiluomini, dame, suore, religiosi, contadini, popolani, tutti accumunati dalla preghiera-azione del Rosario. 

 

 


GIOVAN BATTISTA SALVI detto IL SASSOFERRATO: Madonna del Rosario con san Domenico e santa Caterina da Siena - 1643 - Basilica di S. Sabina, Cappella di santa Caterina da Siena, Roma

 A partire dalla prima metà del XVII secolo, l’iconografia del Rosario non mostra più con frequenza i personaggi evocanti la vittoria di Lepanto, ma si presenta nello schema piramidale che vede all’apice la Beata Vergine con il Bambino, e in basso san Domenico e santa Caterina, iconografia alla quale si riferisce anche l’artista che dipinse il famoso quadro della Beata Vergine di Pompei, ispirandosi molto probabilmente alla Vergine del Rosario realizzata nel 1643 da Giovanbattista Salvi detto il Sassoferrato, e conservato nella basilica paleocristiana di S. Sabina a Roma. Il capolavoro del Sassoferrato associa l'armoniosa serenità della Vergine, figura di atmosfera raffaellesca, con l'emotivo, vibrante dinamismo di santa Caterina, che anticipa la santa Teresa d'Avila del Bernini nella Cappella Cornaro in S. Maria della Vittoria.

 

 

Descrive la vicenda straordinaria del beato Bartolo Longo l’Arcivescovo di Pompei Carlo Liberati: «Ci fu un uomo mandato da Dio in questa valle: si chiamava Bartolo Longo. Veniva dalle Puglie. Correva l’anno del Signore 1872. I cattivi Maestri del primo Ottocento l’avevano fatto smarrire sui vicoli ciechi dell’agnosticismo, del razionalismo, dell’ateismo, nonostante avesse ricevuto una buona educazione religiosa. Ma due angeli, il Prof. Pepe, laico, e il P. Radente, domenicano, e una donna eccezionale, oggi Beata, Caterina Volpicelli, lo ricondussero sulle vie del Signore e gli restituirono la gioia di vivere. Qui a Pompei, in un non precisato giorno dell’ottobre 1872, attraversando i campi della Contessa Farnararo De Fusco che lo aveva chiamato ad amministrare, una voce misteriosa gli si fece sentire dal profondo dell’intelligenza, della coscienza e del cuore e gli disse: “ Se cerchi salvezza, propaga il Rosario. È promessa di Maria. Chi propaga il Rosario è salvo!” La campana di mezzogiorno suonava l’Angelus Domini. Di chi era la voce? Gli aveva parlato la Vergine Maria. Dopo un certo smarrimento e la preghiera sulla nuda terra, riprese il cammino. Ma era diventato un altro: come Paolo sulla via di Damasco. La Madre del Signore e nostra l’aveva atteso e trasformato. Da quel momento e dall’anno 1875 quando la Provvidenza gli fece pervenire questa effigie della SS.ma Vergine del S. Rosario ora venerata in tutto il mondo, qui sbocciarono miracoli da non potersi contare come frutti copiosi dell’albero della fede. Nacquero prodigi come sbocciano primule, ciclamini, iris nel silenzio del bosco» (Saluto di S. E. mons. Carlo Liberati Arcivescovo Prelato di Pompei al Santo Padre Benedetto XVI - Pompei, 19 ottobre 2008).   

   Il beato Bartolo Longo cercava un’immagine della Madonna del Rosario dinanzi alla quale la nascente Confraternita di Pompei si soffermasse in meditazione durante la preghiera. È noto che quando il 13 novembre 1875 il beato Bartolo Longo vide il quadro presso il Conservatorio del Rosario dov’era la proprietaria, sr Maria Concetta de Litala, rimase esterrefatto per la bruttezza del dipinto. È altrettanto noto che, non potendo fare altrimenti per la mancanza di tempo e di denaro, fece ospitare la tela sul barroccio di un carrettiere che ritornava a Pompei portando il letame delle stalle di Napoli da vendere come concime ai contadini della Valle di Pompei. Al riguardo possiamo commentare che la kenosis della Madre per la nostra salvezza non fu inferiore a quella del Figlio.   Le condizioni estetiche del dipinto richiesero l’intervento di numerosi restauri prima di poterlo esporre alla venerazione dei fedeli. I ripristini riscoprirono anche l’originaria immagine di santa Caterina da Siena, nascosta dietro le sembianze di santa Rosa da Lima, canonizzata alla fine del secolo XVII, epoca a cui si fa risalire la realizzazione del quadro. Evidentemente la popolarità della santa peruviana suggerì un cambiamento all’artista riguardo la beata da raffigurare.

 

 


 

Quando, dopo il restauro, il quadro venne esposto alla venerazione si osservò da parte dei fedeli e del beato Bartolo Longo un graduale, progressivo ingentilimento dei lineamenti della Beata Vergine. Nella Storia del Santuario scrive il Beato: “Da quel giorno cominciò nella  fisionomia della Celeste Regina a ravvisarsi una bellezza, una maestà e una confidenziale dolcezza, che non si ravvisavano innanzi. […] napoletani e forestieri i quali qui pervengono ogni giorno, riconoscono in questa Immagine qualche cosa che attira ad ammirarla, non per il magistero di arte, non essendo questa certamente una delle Vergini di Raffaello, ma sì invece per la forza arcana che s’impone, e trae, quasi senza volerlo, ad inchinarsi a pregare”.

  

 

 

Sono innumerevoli le grazie ottenute per intercessione della Beata Vergine del Rosario, testimoniate sia da umili ex-voto di ringraziamento sia da pregiati doni. A proposito di questi ultimi, il beato Bartolo Longo scrive del cumulo di pietre preziose di grande valore che “ornano artisticamente la celestiale Immagine, e sono come tante voci di fedeli, che da ogni parte del mondo attestano le grazie della Vergine Santissima di Pompei”.

 


Le pietre preziose che ornavano il dipinto divennero così numerose da costituire un pericoloso sovraccarico per la tela, sollecitando da parte del vescovo Aurelio Signora la necessità di un restauro che ebbe luogo nel 1965 per opera  dei Benedettini Olivetani i quali dirigevano l’Istituto di Restauro del libro a Roma.

 Il primo intervento fu riportare il dipinto su una nuova tela, poiché quella primitiva risultava gravemente danneggiata dai fori realizzati per applicare le gemme. Successivamente si procedette a riprendere l’immagine originaria del quadro. Nel togliere i vari strati di colore, l’azzurro oltremare del manto della Madonna lasciò il posto a un bleu scuro a riflessi verdi, con orlatura d’oro ai lembi. Venne riscoperto il piede destro della Vergine Maria, prima nascosto dalla veste. Alla base del trono ai piedi della Madre di Dio apparve un libro, che potrebbe essere la Bibbia oppure più presumibilmente la Regola dell’Ordine Domenicano, come segno dell’affidamento alla Vergine del Rosario compiuto da parte di san Domenico e santa Caterina i quali pongono sotto la sua protezione l’Ordine (cfr. Salvatore Sorrentino, Iconografia del Rosario, “Il Rosario e la Nuova Pompei”, 2008-2009).

   A conclusione del restauro, il 23 aprile 1965 il pontefice Paolo VI incoronò nella basilica di S. Pietro la celeste rappresentazione. Le corone della Madre e del Figlio e la corona di dodici stelle che circonda entrambi non furono poste sulla tela, bensì su una lastra trasparente di plexiglass collocata a qualche centimetro da essa.



 

La sacra immagine è ritornata a piazza S. Pietro per desiderio del beato Giovanni Paolo II che nel 2002 volle firmare accanto ad essa la Lettera Apostolica Rosarium Virginis Mariae nella quale introdusse i Misteri della Luce da lui elaborati, indicendo contestualmente l’Anno del Rosario.

   Era stato papa Giovanni Paolo II a beatificare il 26 ottobre 1980 Bartolo Longo che come pochi seppe rendere l’amore e la devozione verso la Beata Vergine del Rosario, un gesto concreto d’amore cristiano verso chi ha più bisogno: istituì per le opere sociali un orfanotrofio femminile, consegnandolo alla dedizione delle suore Domenicane Figlie del Rosario di Pompei, da lui fondate. Diede origine all’Istituto dei Figli dei Carcerati in controtendenza alle teorie di Cesare Lombroso, fondatore dell’Antropologia criminale, il quale, influenzato dal Positivismo francese e inglese, asseriva l’ereditarietà in senso deterministico dei comportamenti criminali che renderebbe impossibile l’adattamento alla società del soggetto che delinque e dei suoi discendenti, in un orizzonte dov’è assente sia la libertà umana sia la Grazia.  

 

Bartolo Longo chiamò a guidare l’Istituto i Fratelli delle Scuole Cristiane. Ancora, fondò nel 1884 il periodico “Il Rosario e la Nuova Pompei” che a tutt’oggi si stampa in centinaia di migliaia di copie, diffuse in tutto il mondo: la stampa era affidata alla tipografia da lui istituita per dare un avvenire ai suoi orfanelli. Diede vita associandoli al Santuario ad asili, scuole, ospizi per anziani, laboratori, l’ospedale, la Casa del pellegrino. Nel 1893 Bartolo Longo offrì al papa Leone XIII la proprietà del Santuario e di tutte le opere pompeiane; qualche anno più tardi rinunziò anche all’amministrazione che il papa aveva lasciato alla sua cura.