Il giormo 11 aprile 2013 , promosso da Adelaide Trabucco, è stato presentato al Circolo Canottieri Irno di Salerno il libro di Gioconda Marinelli L'uomo che fondeva le campane, accompagnato da letture di brani scelti, a loro volta commentati da brani musicali. Il testo è stato illustrato criticamente dal professor Francesco D'Episcopo, docente di Letteratura italiana e Critica letteraria presso l'Univesità degli Studi "Federico II" di Napoli, e da Ester Basile, docente all'Istituto Italiano di Studi Filosofici di Napoli.

 

Riportiamo di seguito la relazione di Adelaide Trabucco.

L’uomo che fondeva le campane della scrittrice Gioconda Marinelli è un testo, già presentato a Roma, a Napoli ed in altri contesti culturali, che. ci dona la vicenda di Pasquale Marinelli, dinamico promotore nella molisana Agnone, insieme con il fratello Ettore, della Pontificia Fonderia Marinelli, di millenaria tradizione.

   Agnone, ricorda Gioconda Marinelli, è “città d’arte e di storia”, tratteggiata in modo impareggiabile dalla scrittore Francesco Jovine, la stessa città che viene definita dallo storico napoletano Antonio Spinosa “una capitale”: “È la più sonora capitale del mondo, la capitale delle campane. Qui da molti secoli risuonano le campane, e le sue campane risuonano in tutto il mondo. La tradizione dei fonditori di campane ha il nome di Fonderia Marinelli”, la seconda fabbrica più antica del mondo. Le ‘voci degli angeli’ echeggiano da Pechino, a Cracovia, a Seul, alle Antille, a Hiroshima, ad Addis Abeba.

   La vita di Pasquale Marinelli, per molti versi un tutt’uno con la vita della Pontificia Fonderia, è filtrata dagli occhi amorosi e attenti della figlia Gioconda la quale con struggente nostalgia e orgoglio ricostruisce la storia di suo padre, narrando di lui ma raccontando anche di se stessa, in un personale e confidenziale intreccio di biografia ed autobiografia.

   Il legame profondo, viscerale che univa - e, possiamo affermare, unisce – l’Autrice con suo padre è manifestato in una prosa sobria e piana nella quale, proprio per questo, incidono con potenza traslati, figure di pensiero, figure di sentimento che come un lampo illuminano e mettono a nudo un’emozione, una sensazione, un’immagine, una descrizione. Penso, per esempio, alla ύποτύπωσις, l’ipotiposi mediante la quale con vivezza rappresenta l’intuizione della morte del padre: “Tutto quello che era accaduto e intimamente temevo, mi batté contro l’anima e me la tranciò”. Oppure alla personificazione con cui riveste le “tradizioni profumate di affetti familiari, di dolci preparati con cura”, ed i “negozi imbellettati, truccati con colori natalizi”. O all’ossimoro nei termini della “mia sofferenza amata” ed all’antitesi nei concetti de “La vita convive con la morte”. Ancora, mi sovviene la metafora delle “presenze che guidano i miei passi, lanterne che difendono dal buio”. O l’epifonema “Non si è mai pronti”, con cui conclude il pensiero.

   Legami viscerali uniscono l’Autrice non soltanto con il padre, ma con tutti i familiari ai quali dedica personali ritratti individuando i soggetti con acutezza e affetto.

   In Gioconda Marinelli è così intenso il sentimento della famiglia, delle proprie radici da farle asserire: “Noi siamo il nostro passato”.

   A volte, rare volte, affiora una certa amarezza per la consapevolezza di un solitario sentire la vita ognora presente nel passato: “In un niente, quando moriamo, si liberano le stanze, gli armadi, si dissolvono le nostre esistenze, si smembra tutto ciò in cui abbiamo creduto, almeno per la maggior parte di noi, così è la prassi e la memoria cade a pezzi”.

   Nel testo, momenti ed eventi familiari e privati si intrecciano con quelli pubblici e di importanza storica derivanti dalla scelta del padre dell’Autrice di continuare un percorso millenario, ricostruendo ex nihilo dopo le rovine della seconda guerra mondiale un patrimonio in cui alla sapienza artigiana di inestimabile valore si legano cultura, arte, tradizione.

   Compaiono così con naturalezza persone e luoghi di grande rilevanza che la Famiglia Marinelli ha conosciuto - e amato. Ricordiamo, tra gli altri, il Beato Giovanni Paolo II che nel 1995 benedisse all’interno della Fonderia Marinelli la campana della Pace destinata all’ONU. Oppure il Beato Bartolo Longo il quale insieme con la moglie, la contessa Marianna de Fusco, ospitò nella sua dimora i Marinelli recatisi a Pompei con le maestranze per fondere in loco gli otto grandi bronzi presenti nel Campanile del Santuario della Beata Vergine del Santo Rosario. Ancora, san Pio da Pietrelcina che auspicò il grande concerto di quindici campane per il Santuario di San Giovanni Rotondo.

   Dalle mie personali ricerche storiche ho appurato che il concerto ad otto voci presente nel Campanile della Cattedrale di S. Matteo in Salerno annovera tre antiche campane della Fonderia Marinelli: una datata 1475 e due risalenti al secolo XVIII – queste ultime due collegate evidentemente all’imponente ricostruzione settecentesca seguita al rovinoso terremoto del 1688.

   Una storia importante quella della Pontificia Fonderia Marinelli, che oggi sta brillantemente continuando affidata non soltanto alla mente e al sentimento di Gioconda, ma anche operativamente alle mani e all’intelletto di Armando e Pasquale, figli di Ettore, l’artista e lo scultore dell’Impresa.

   Antonio Delli Quadri, Maestro d’arte, che fin da giovanissimo ha operato nella Fonderia Marinelli, nel suo libro L’Arte Campanaria così ricorda Ettore Marinelli: “Con ritmi impressionanti, Ettore Marinelli trasformava pani d’argilla in figure, immagini, ornamenti e scene.  Nel suo talento traspariva uno squisito senso del bello e della grazia, della fantasia e della passione, tutte qualità che gli hanno consentito di realizzare le sue opere con una tecnica raffinata e nella cura dei dettagli e dei particolari. Pochissimi scultori hanno avuto la possibilità di essere artisti e, nello stesso tempo, fonditori e tale completezza gli ha consentito di curare ogni sua opera dalla forma in argilla alla fusione; un percorso lunghissimo, fatto di interminabili passaggi che si concludevano con operazioni di rifinitura e di patina, eseguite con perizia di vero maestro di bulino e di cesello, doti difficilmente riscontrabili nella quasi totalità degli artisti, che si limitano alla manipolazione delle argille”.

   Oggi la famiglia Marinelli prosegue nel tempo quell’impareggiabile incanto del lavoro artigianale che è esclusivo e senza eguali, consapevole che, come soleva dire Pasquale Marinelli, “è necessario vivere più di progetti che di ricordi”. Un lavoro artigianale che attinge alla fusione del bronzo e di altri metalli per la realizzazione delle campane e per questo, come disse l’indimenticato Giovanni Paolo II nella sua visita ad Agnone nel 1995, è una “metafora augurale per un mondo che ha più che mai bisogno di armonizzare, e quasi di ‘fondere’ le sue diversità in un solido progetto di pace”. 

   Una delle ultime opere dei Fratelli Marinelli è la Vox Fidei, la Campana per l'Anno della fede donata a papa Francesco il 24 aprile 2012, in occasione della visita a Roma della diocesi di Trivento guidata da Sua Eccellenza il Vescovo Domenico Angelo Scotti. L'opera in bronzo reca incisa su un lato la rappresentazione dell'Anno della fede mentre sull'altro lato presenta lo stemma di papa Francesco.

 

 

 

Con preghiera di citare la fonte in caso di utilizzazione del testo per motivi di studio.

 

Pubblicato in Opere

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