Giovanni Antonio da Pesaro, pittore per sensibilità e formazione vicino a Gentile da Fabriano, dipinge una rara effigie che coniuga l’iconografia della Madonna del Mantello o Madonna della Misericordia con l’iconografia bizantina della Madre di Dio del Segno, conosciuta in Italia nelle aree dov’erano maggiori i contatti con l’oriente, quale, nel nostro caso, la costa adriatica. La tavola, realizzata per il Santuario di S. Maria dell’Arzilla vicino Pesaro, di origine medievale, è firmata, datata, nonché ulteriormente storicizzata dall'indicazione dell’identità del Committente. Alla base del dipinto si trova una dettagliata iscrizione, in lettere gotiche di color rosso, che attesta: “Giovanni Antonio Pesarese ha dipinto. Ave Maria. Nell’anno del Signore 1462 il giorno 8 dicembre questa immagine di S. Maria della Misericordia commissionò la comunità di Saltara”.
Compare in Occidente nel XIII secolo la rappresentazione della Vergine del Mantello la quale per la sua misericordia copre i fedeli con il suo manto in un gesto di protezione, di difesa, di amore.
SIMONE MARTINI: Madonna della Misericordia o del Mantello - 1305-1310 ca. - tempera e oro su tavola - Pinacoteca Nazionale di Siena
Proponiamo in questa sede anche la Madonna del Mantello dipinta da Domenico di Michelino nel 1446 circa e restaurata nella Bottega di Francesco Granacci agli inizi del secolo XVI. È precisamente appellata Madonna degli Innocenti o Madonna dei Gittarelli, dipinta sullo stendardo del brunelleschiano Spedale degli Innocenti. L’Istituzione volle scegliere per sé tale denominazione che richiamasse la erodiana Strage degli Innocenti (Mt 2, 1-16) poiché sorse a Firenze nel 1448 per accogliere i neonati lasciati, “gittati”, nella ruota a conca dalle madri che, per varie ragioni, non potevano allevarli – da qui l’appellativo di Madonna dei Gittarelli. Sono bambini e bambine di età differenti e dal conseguente diverso abbigliamento: alcuni in fasce, altre parzialmente fasciati e con le gambine libere, altri con bianchi vestiti a camicina, altri con il grembiulino nero recante lo stemma degli Innocenti, un bimbo avvolto nelle fasce. Nella loro diversità li accomuna l’espressione dolce, serena e mesta dei visi, la naturale vivacità dell’età che si manifesta, pur nella compostezza della messa in posa per il ritratto, nel repentino volgersi delle teste e nel vario incrociarsi degli sguardi, i sentimenti di affetto e protezione gli uni verso gli altri e la richiesta di amore e difesa nei riguardi della Vergine, esplicitamente manifestata dal bimbo che si appoggia con abbandono e confidenza al corpo della Madonna che, sotto il mantello, indossa la lunga veste rossa della Charitas divina.
DOMENICO di MICHELINO: Madonna del Mantello o Madonna degli Innocenti - 1446 ca. - tempera su tela - Galleria dello Spedale degli Innocenti, Firenze
La Madre di Dio del Segno è un’immagine di derivazione bizantina di cui Andrè Grabar individua magistralmente le origini nell’iconografia del tema dell’incarnazione e della concezione, nell’ambito della categoria dei dogmi raffigurati da immagini giustapposte. Nell’iconografia usuale dell’incarnazione un raggio di luce discende su Maria e la colomba dello Spirito Santo vola su di lei o discende verso il suo orecchio. A partire da questa iconografia consueta, verso il IX secolo nell’Impero bizantino se ne sviluppa un’altra: Maria in preghiera con le braccia alzate nel gesto dell’Orante e il Bambino racchiuso in un clipeo sul petto di lei. Questo singolare motivo era una convenzione per mostrare, per così dire in trasparenza, il Bambino che doveva nascere[1]. L’effigie manifesta le parole del profeta Isaia: “Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele”[2]. L’evangelista san Matteo, il più attento alla continuità ed alle anticipazioni e corrispondenze fra Antico Testamento e Vangelo, legge nella profezia di Isaia l’annuncio della nascita di Gesù, l’Emmanuele ovvero il Dio-con-noi, il Segno dato da Dio – da cui il nome di Madre di Dio del Segno assegnato all'icona.
Madre di Dio del Segno o Platytera - XIII secolo - tempera e oro su tavola - Monastero di S. Caterina sul Sinai
La tavola di Giovanni Antonio da Pesaro raffigura la Madonna della Misericordia o del Mantello mentre copre con il suo manto i fedeli, recando sul petto non un clipeo, ma una mandorla, simbolo dell’universo che custodisce al suo interno il Bambino di cui viene messa in risalto la divinità. Egli è raffigurato nudo con un lieve panno di rispetto sui fianchi, ben saldo in piedi, mentre con la mano destra benedice e con la mano sinistra regge una sottile croce astile che all’incrocio dei bracci presenta il globo, altro simbolo del Creato, a sottolineare il concetto del governo misericordioso di Cristo sull’universo.
Se è vero che nel cuore della madre c'è il figlio, in questo caso singolare nel cuore della creatura c'è il Creatore, colui che “i cieli e i cieli dei cieli non possono contenere, né tantomeno il Tempio"[3]. Egli in Maria “ha fatto grandi cose guardando l’umiltà della sua serva"[4] la quale da san Basilio, Padre della Chiesa, è appellata Platytera, la più vasta dei cieli tanto da accogliere il Verbo fatto carne, colui che i cieli non possono contenere: “Tu, sede di Dio, l’Infinito”[5] – canta l’inno liturgico Akathistos (V-VI secolo). Ed è colui il quale nella Madonna della Misericordia e Madre di Dio del Segno fa vedere Gesù, segno e strumento della Misericordia del Padre, in lei “clemenza di Dio verso l’uomo / fiducia dell’uomo con Dio”[6].
Con preghiera di citare la fonte in caso di utilizzazione del testo per motivi di studio.
Presentiamo il commento critico sui mosaici creati da Marko Ivan Rupnik e da lui realizzati in collaborazione con il Centro Aletti nel 1996-1999 per la Cappella Redemptoris Mater nel Palazzo Apostolico in Vaticano. Lo scritto, pubblicato sul settimanale "Agire" il 2 dicembre 2000, è accompagnato nella presente sede da un ampio corredo iconografico al fine di rendere partecipi i lettori di un capolavoro dell'arte contemporanea.
L'Annunciazione - Parete dell'Incarnazione del Verbo - (part.) - Cappella Redemptoris Mater
Anastasis e Battesimo di Cristo, Parete dell'Incarnazione del Verbo - (part.) - Cappella Redemptoris Mater
La Crocifissione - Parete dell'Incarnazione del Verbo - (part.) - Cappella Redemptoris Mater
Giuda
Parete dell'Incarnazione del Verbo - (part.) - Cappella Redemptoris Mater
Pentecoste, Ascensione - Parete della divinizzazione dell'uomo - (part.) - Cappella Redemptoris Mater
La Decollazione di san Paolo - Parete della divinizzazione dell'uomo - (part.) - Cappella Redemptoris Mater
Santa Edith Stein ad Auschwitz
Parete della divinizzazione dell'uomo - (part.) - Cappella Redemptoris Mater
Mosè - Parete della Parousia - (part.) - Cappella Redemptoris Mater
La Parousia - Cappella Redemptoris Mater
Noè - Parete della Parousia - (part.) - Cappella Redemptoris Mater
Parete dell'Incarnazione del Verbo - Cappella Redemptoris Mater
Con preghiera di citare la fonte in caso di utilizzazione del testo per motivi di studio.
La discesa dello Spirito Santo è il fine ultimo dell'attività soterica trinitaria, come affermavano già i Padri della Chiesa. Nel De Incarnatione Verbi scrive sant’Atanasio di Alessandria, formidabile difensore della consustanzialità del Figlio rispetto al Padre, negata dall'eresia ariana: "Il Verbo ha assunto la carne affinchè noi potessimo ricevere lo Spirito Santo". Qual'è il ruolo della Beata Vergine Maria nella discesa dello Spirito sugli uomini, sia ora sia nell'evento storico della Pentecoste? Seguendo per la ricerca un'impostazione ecumenica, l'articolo rileva come le invenzioni iconografiche siano numerose e diversificate sia nell'Oriente sia nell'Occidente; presentato su “Agire” (sabato, 1° giugno 1996) è da collocarsi nell'ambito delle ricerche che ho svolto in merito alle immagini dedicate alla Madre di Do nella Pentecoste, effettuate in occasione dell'Anno Mariano Diocesano tenutosi nella Diocesi di Salerno-Campagna-Acerno nel 1996. Il presente elaborato è corredato da una ricerca iconografica che spazia dal dipinto di El Greco al Prado, al mosaico della Cupola di S. Marco a Venezia, alla miniatura del Codice de' Predis che vede ciascun Apostolo reggere tra le mani un cartiglio con un articolo del Credo, sottolineando così il legame diretto tra l'effusione dello Spirito Santo e la Fede. La presenza di Maria nelle raffigurazioni della Pentecoste è attestata fin dalla prime testimonianze figurative...
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Il quadro della Beata Vergine del Santo Rosario di Pompei e Serafini, dipinto da Adelaide Trabucco nel 2007, è stato un atto di devozione per una grazia ricevuta attraverso la preziosa intercessione della Beata Vergine del Santo Rosario venerarata nel Santuario di Pompei, nella consapevolezza che altre grazie, tanto più numerose, le saranno palesi soltanto in Cielo.
All'usuale iconografia, l'Autrice ha voluto aggiungere l'immagine dei Serafini come presenza invisibile ma reale che di certo circonda la Madre con il Figlio Divino, e che si dispiega esplicitamente o implicitamente nell'iconografia rosariana nel corso dei secoli.
Iconografia rosariana
di Adelaide Trabucco
La preghiera del Rosario nasce nel XII secolo quando i monaci Cistercensi, partendo dalla tradizione di dedicare alla Vergine una corona di rose, elaborarono una speciale ghirlanda: una preghiera che chiamarono appunto Rosario, paragonata ad una mistica corona di rose offerte alla Madonna. Questa devozione viene perfezionata e resa popolare da san Domenico il quale, secondo l’asserzione del Beato Alano de la Roche, nel 1214 riceve il primo rosario dalla Vergine Maria che lo indica come rimedio per la conversione dei non credenti, per la salvezza dei peccatori e per sconfiggere l’eresia albigese. Fiorisce così la devozione del S. Rosario: suoi propagatori sono i Domenicani che con la loro predicazione lo divulgano nell’intera Europa e che hanno inoltre il merito di creare le Confraternite del Rosario.
Il frate domenicano Giovanni da Fiesole, al secolo Guido di Pietro, era un grande innamorato della Beata Vergine Maria e del Rosario. La tradizione narra che, giovane frate, ritornava una sera al convento, recitando il Rosario. Attraversava la campagna. Gli apparve la Regina del Cielo; tanti Angeli le stavano vicino, cantando ed intrecciando una corona di rose. Il frate interruppe la recita del Rosario per contemplare quella scena di Paradiso. Gli Angeli interruppero pure il canto e lasciarono incompiuta la corona di rose. Sorpreso, il Beato Angelico ripigliò la preghiera e gli Angeli ricominciarono a cantare. Ad ogni Ave Maria, una nuova rosa veniva inserita nella corona. Terminato il Rosario, il serto di rose fu presentato dagli Angeli a Maria. Il frate non dimenticò più la visione. Si sforzò di riprodurla in pittura. Trascorse la vita nella preghiera e nel lavoro, lasciando una grande quantità di quadri, rappresentanti la Madonna e gli Angeli.
Venne chiamato Beato Angelico per la sua capacità di ricreare l’atmosfera angelica che circondava i soggetti religiosi che ritraeva nei suoi dipinti, rinnovando nel Quattrocento l’arte sacra secondo la nascente visione rinascimentale alla quale aderì in modo sublime in termini di luce, di colore e di spirituale grazia. Negli ultimi istanti della vita, mirò a lungo in alto, quasi trasfigurandosi in viso per l'emozione; poi esclamò: “La Madonna è molto più bella di quanto io l'abbia dipinta!” E spirò. E’ significativo che fra Giovanni è l’unico artista, in tutta la storia della Chiesa, nel cui processo canonico non sono stati allegati scritti teologici o spirituali ma il catalogo completo dei suoi capolavori di arte e di fede. Sempre Giovanni Paolo II il 18 febbraio 1984 lo ha proclamato Patrono Universale degli Artisti.
BEATO ANGELICO: Madonna col Bambino, Angeli e Santi - (part.) - 1448 - Galleria Nazionale dell'Umbria, Perugia
L’orazione del Rosario riceve il suo battesimo ufficiale nel 1569 ad opera del papa san Pio V che emana una specifica bolla, Consueverunt Romani Pontifices. In concomitanza con la struttura definitiva della preghiera, si origina l’iconografia riguardante la Beata Vergine del Santo Rosario della quale la prima rappresentazione conosciuta è la silografia che orna il frontespizio della seconda edizione dello Statuto (1477) riguardante la prima Confraternita del Rosario eretta a Strasburgo nel 1475 dal frate Giacomo Sprenger priore dei domenicani di Colonia. La città nel 1474 aveva scongiurato il pericolo della guerra grazie alla protezione della Vergine invocata, su ispirazione di Sprenger, mediante il Rosario. Superato il pericolo della guerra, viene istituita la Confraternita: i primi iscritti sono l’imperatore Federico III e il legato pontificio, vescovo Alessandro Malatesta.
Sono i personaggi raffigurati nella silografia: la Beata Vergine in trono col Bambino, entrambi ritratti mentre porgono corone di rose. Il Bambino si volge al vescovo Malatesta, davanti al quale è inginocchiato il priore Sprenger, la Vergine si rivolge a Federico III, imperatore del Sacro Romano Impero, ai piedi del quale è inginocchiata la moglie Eleonora d’Aviz, infanta del re di Portogallo, Edoardo.
Alla prima Confraternita istituita in Italia dal domenicano tedesco Giovanni di Erfordia, nella chiesa di S. Domenico di Castello a Venezia, risale un secondo prototipo di iconografia del Rosario: la copertina dello Statuto presenta una xilografia stampata verso il 1480 - attualmente al Museo Nazionale Germanico di Norimberga - che vede la Beata Vergine in piedi, senza il Bambino Gesù, le mani giunte in preghiera., circondata da Angeli in volo, mentre ai suoi piedi sono inginocchiati il frate Giovanni di Erfordia e un laico elegantemente vestito dalle cui mani giunte pende la corona del Rosario – forse Leonhard Vilt, fondatore della confraternita del Rosario a Venezia.
ALBRECHT DÜRER: La Festa del Rosario - 1506 - Narodni Galerie, Praga
La Festa del Rosario, celebre dipinto di Dürer, si ispira all’iconografia della Confraternita di Colonia e ad altri precedenti iconografici legati a questo tipo di devozione come i Rosenkranzbild (immagini del Rosario) in cui la Madonna è raffigurata nell'atto di distribuire serti di rose bianche e rosse al popolo in venerazione, presenti i membri di ogni classe sociale. In Dürer le supreme autorità della terra, dal Pontefice Sisto IV all'Imperatore Federico III (che l'Artista ritrasse con le sembianzr del figlio Massimiliano I), al cospetto della Vergine hanno deposto in terra rispettivamente il triregno e la corona imperiale, chinandosi con devozione per ricevere le ghirlande di rose che la Vergine e il Figlio pongono sul loro capo: le uniche corone ammesse sono quelle del Rosario distribuite dalla Beata Vergine e dal Bambino, aiutati da san Domenico e dagli Angeli, a tutti i presenti, dall'Imperatore al soldato, dal Patriarca di Venezia, al Cappellano, ai semplici fedeli. Non è un caso che tutti i devoti del Rosario appartengano alle varie classi sociali: all'interno del popolare scritto devozionale Il Rosario della gloriosa Vergine Maria, nel capitolo "Ammonitione per entrare nella fraternità", si sottolinea che la Confraternita del Rosario "abbraccia tutti, cioè ricchi e poveri, huomini e donne, signori, prelati, re et principi, et niuno è escluso" (dall'edizione di Venezia, presso Gio. Antonio Bertano, 1587). L'opera è scritta a Venezia nel 1521 dal domenicano Alberto di Castello al quale si deve anche la struttura del Rosario di 15 Pater noster e di 150 Ave Maria, semplificata rispetto alla complessità della precedente configurazione, e codificata nella bolla Consueverunt Romani Pontifices, datata 12 settembre 1569 - dove per la prima volta si trova una precisazione spirituale di fondamentale importanza, ovvero che la meditazione dei Misteri del Rosario (non la meccanica ripetizione delle preci) è la condizione necessaria per ottenere le indulgenze.
ANTOON van DYCK: La Madonna del Rosario con san Domenico e santa Caterina da Siena e i santi Vincenzo Ferreri, Oliva, Ninfa, Agata, Cristina e Rosalia - 1625-1627 - Palermo, Oratorio di S. Domenico, Presbiterio
Gli artisti italiani predilessero una diversa iconografia che valorizzava il ruolo svolto da san Domenico: la Vergine, su una nuvola, si mostra a san Domenico inginocchiato e gli porge la mistica corona, come nella suggestiva pala d’altare di Antoon van Dyck commissionata in occasione della peste che aveva colpito Palermo nel 1624, e consegnata nel 1628. Il dipinto raffigura la Madonna del Rosario con san Domenico e santa Caterina da Siena e i santi Vincenzo Ferreri, Oliva, Ninfa, Agata,Cristina e Rosalia, e fu realizzato per volere della Compagnia della Madonna del Rosario, che nel 1574 aveva fatto edificare il mirabile Oratorio del Rosario di S. Domenico accanto all'omonima chiesa.
ADELAIDE TRABUCCO: Madonna del S. Rosario di Pompei e Serafini. San Domenico - ( part.) - 2007
L'iconografia della pittura italiana privilegiò anche un altro schema iconografico che presenta la Beata Vergine in trono con il Bambino sul braccio destro: la Madre di Dio dona il Rosario a santa Caterina, il Figlio lo porge a san Domenico. Lo schema nasce nell'ambito dei Domenicani del Convento di Castello a Venezia - un'immagine si trova nella succitata opera di Alberto di Castello - e su di esso si fonda l'iconografia della Vergine del Rosario di Pompei (Cfr. Gilles Gérard Meersseman, Ordo Fraternitatis. Confraternite e pietà dei laici nel Medioevo, 3 voll., Herder, Roma 1977, vol. 3, pp. 1163-1218).
ADELAIDE TRABUCCO: Madonna del S. Rosario di Pompei e Serafini. Santa Caterina - (part.) - 2007
La preghiera del Rosario riceve un grande impulso dalla vittoria di Lepanto da parte della flotta cristiana partita per far fronte ai Turchi che minacciavano l’integrità e l’identità territoriale, culturale e spirituale dell’Europa. Il pontefice san Pio V si adoperò in tutti i modi per unire i cristiani in una Lega. Così l'imperatore, il granduca di Toscana, Venezia, l'Ordine di Malta e parecchi principi italiani armarono una flotta. La Lega Santa partì dal porto di Messina il 7 ottobre 1571 verso le 12 del mattino e in vista della flotta turca (nel golfo di Patrasso, nell’area denominata Lepanto) su ogni nave fu celebrata la Messa, mentre i frati Francescani, Domenicani e Gesuiti a prora delle galere tenevano i crocefissi alzati e benedicevano i soldati. Le fonti storiche riportano che anche il Papa a quell’ora si raccoglieva in preghiera. La feroce battaglia durò cinque ore e costò la vita a circa 8.000 cristiani, consentendo la liberazione di 15.000 schiavi cristiani e segnando la fine della supremazia turca nel Mediterraneo.
PAOLO VERONESE: Allegoria della battaglia di Lepanto - 1572 - Gallerie dell'Accademia, Venezia
Paolo Veronese dedicò alla battaglia di Lepanto due rappresentazioni, nelle quali si ritrova il suo specifico cromatismo luminoso e intenso. Un’opera si trova nel Palazzo Ducale, Sala del Collegio ed è un quadro votivo, denominato Sebastiano Venier ringrazia il Salvatore per la vittoria di Lepanto, proposto al concorso ufficiale istituito dalla Repubblica di Venezia nel 1571 per la celebrazione della battaglia di Lepanto: in alto è raffigurato Cristo imperator mundi nella gloria celeste, ai suoi piedi in adorazione Sebastiano Venier, che diverrà doge di Venezia, e Agostino Barbarigo. Lontana strutturalmente è l'Allegoria della battaglia di Lepanto - appellata anche La Vergine accoglie le suppliche dei Cristiani e permette la Vittoria di Lepanto 7 ottobre 1571. La tela rappresenta due scene ben distinte ma fortemente collegate fra loro. Nello spatium coeli la personificazione di Venezia (o della Fede) appare avvolta in un candido manto mentre viene presentata alla Madonna.s L'accompagnano i santi Pietro, Rocco, Giustina e Marco. In secondo piano, sempre nella zona superiore, si trova una schiera di Angeli. Nello spatium terrae viene raffigurata la battaglia navale di Lepanto.