Codice Vaticano Latino 5729. Risonanze teologiche di una proposta didattica
di Adelaide Trabucco
Il professor Vincenzo Avagliano, docente di scultura presso il Liceo Artistico “Andrea Sabatini” di Salerno diretto dal Preside Michele Sabino, si è fatto promotore di un originale progetto artistico finalizzato a ricercare il dialogo non soltanto con l’oggetto-opera ma anche con altri soggetti-persona - colleghi e alunni - attraverso differenti livelli di coinvolgimento esperienziale e creativo.
Il Laboratorio di scultura del maestro Avagliano si è attivato nella persona dello stesso docente, nonché attraverso la partecipazione della sua Classe. Anna Sessa, insegnatedi discipline plastiche, ha guidato gli allievi del Corso Serale, mentre il prof. Umberto Aliberti ha messo a disposizione la sua esperienza e preparazione quale aiutante tecnico per la realizzazione delle opere in ceramica. Significativa per il taglio multidisciplinare dell’iniziativa culturale, l’adesione della professoressa Francesca Poto che ha creato esclusivamente per il progetto due incisioni segnate da una straordinaria tensione vitale, nel segno e nella policromia.
L’esperienza di collaborazione fra docenti di diverse discipline ha avuto una funzione maieutica nei riguardi degli alunni ai quali è stata fornita l’occasione di riflettere creativamente su un tema attualmente poco comune e ricorrente, ma destinato ad essere incontrato, seppure in termini diversamente incisivi, da ogni nato di donna.
Fonte di ispirazione è stata una miniatura raffigurante la Crocifissione di Cristo, tratta da uno dei più importanti Codici illustrati del sec. XI giunti sino a noi. Si tratta del Codice Vaticano Latino 5729 che fu miniato tra gli anni 1015 e 1020 nello scriptorium interno al monastero di Santa Maria di Ripoll (Rivipollens), fondato da Vilfredo conte di Barcellona nell'880 ca. in Catalogna.
1. Monastero di S. Maria di Ripoll - 880 ca. - Spagna, Catalogna
All’epoca dell’abate Oliba (1008-1046), un tempo di grande rinascita spirituale e culturale, venne redatta una recensione della Bibbia destinata allo studio più che alla liturgia, accompagnata da un ricchissimo apparato di testi esegetici e da un ampio repertorio di illustrazioni bibliche tra i più vasti ed interessanti del tempo, con scene e motivi per i quali non esistono paralleli iconografici. Tra i manoscritti della ricca Biblioteca – ne conteneva nel 1046 ben 246 - quello di maggior valore è la Bibbia di Ripoll. Ancora non sono del tutto scientificamente accertati i tempi ed i percorsi in seguito ai quali la Bibbia di Ripoll pervenne alla Biblioteca Apostolica Vaticana. Il Codice apparteneva senza dubbio alla Biblioteca Vaticana all’inizio del XVII secolo, come prova la rilegatura recante lo stemma papale di Urbano VIII Barberini (1623-1644) insieme con l’insegna cardinalizia di Scipio Cobelluzzi, Prefetto della Biblioteca negli anni 1618-1626 [1].
La Bibbia di Ripoll è conosciuta erroneamente dal sec. XVII come Bibbia di Farfa: agli inizi dell’attuale secolo l’insigne esegeta benedettino dom Anscario Manuel Mundò ha dimostrato in un articolato saggio l’errata attribuzione dell’illustrazione del Codice Vaticano Latino 5729 all’Abbazia di Farfa[2].
Attualmente le illustrazioni del Missale Romanum (1970), riformato a norma dei decreti del Concilio Ecumenico Vaticano II e promulgato da Papa Paolo VI, sono le miniature del Codice Vaticano Latino 5729, conservato nella Biblioteca Apostolica Vaticana.
È pertanto prestigioso il modello con il quale l’iniziativa artistico-didattica si è misurata. Le creazioni artistiche proposte nella mostra si ispirano alla Crocifissione, realizzata nella Bibbia di Ripoll come scena storica.
Nell’antica iconografia cristiana non sono frequenti le scene storiche della Crocifissione. Vengono creati invece svariati tipi iconografici come la Crux florida o Croce trilobata, o il Nikētếrion, finalizzati a significare in modo tendenzialmente astratto il trionfo di Gesù Cristo sulla morte [3]. Le composizioni astratte simboleggiavano senza ombra di dubbio la vittoria sulla morte, allontanando ogni equivoco riguardo il reale significato soterico della crocifissione del Verbo Incarnato.
Nelle Ampolle dei pellegrini provenienti dalla terra Santa (sec. VI), oggi custodite nel Tesoro del Duomo di Monza, il tema della Croce è interpretato in chiave simbolica, eludendo l'ostensione del corpo di Cristo in ben dodici delle sedici ampolle. Si nega l'immagine del Cristo Crocifisso, ma non il mistero della Croce. Essa è su ogni ampolla che vede il volto di Cristo, circondato del nimbo crucigero, comparire al di sopra della croce. Il rilievo di un’ampolla presenta il Cristo coperto di una lunga veste ed a braccia aperte, come se fosse in croce, ma è assente la croce.
Le crocifissioni arcaiche pongono la croce in secondo piano e presentano il Cristo davanti alla croce, non sulla croce, come nel pannello ligneo della porte della basilica di S. Sabina, a Roma (V sec.).
L’artista mostra il Cristo vivente sulla croce soltanto nelle immagini dove, eccezionalmente, tratta la scena storica del martirio[4] - nelle quali comunque il primato teofanico faceva ridurre anche il lato aneddotico allo stretto necessario di un richiamo[5].
Nell’antica iconografia cristiana le scene storiche presentano il Cristo correlato alla croce come il divino trionfatore sulla morte: è l’iconografia del Christus Triumphans, che rappresenta in una sola immagine il mistero della morte e della risurrezione del Cristo. Trascende il piano emotivo e non suscita l’emozione ma evoca il mysterium tremendum dinanzi alla parusia del trascendente[6].
3. ALBERTO SOTIO: Crocifisso - 1187 – tempera su pergamena e su tavola - Spoleto, Duomo
La volontà di esprimere il significato salvifico della Croce spinge l’artista a rappresentare non la sofferenza del Figlio dell’Uomo, il suo trapasso corporale, bensì la sua affermazione sulla morte. L’artista nel Christus Triumphans presenta alle antiche comunità cristiane, ed a noi, il paradosso per la ragione costituito dalle conclusioni del Concilio di Calcedonia (anno 451) che affermava l’unione ipostatica della natura divina e della natura umana nella Persona del Verbo Incarnato, quale mistero per la ragione umana ma non contraria ad essa: Cristo è una sola Persona in due nature, divina ed umana. Dal momento che è vero uomo, viene crocifisso e muore; considerato che è vero Dio, risorge dai morti – “morendo distrusse la morte e proclamò la risurrezione”[7]. L’artista unisce i concetti di morte e resurrezione in accordo al kerygma apostolico che lega inscindibilmente gli eventi dell’annuncio evangelico della Passione-Morte-Risurrezione di Gesù, il Signore.
L'iconografia del Christus Triumphans, così diversa dall’immagine del Crocifisso alla quale da secoli siamo abituati, è da apprezzare nel contesto storico e spirituale nel quale ha avuto origine. Per la comunità cristiana dei primi secoli è impensabile rappresentare Cristo come un cadavere, occhi chiusi, capo abbandonato sul petto, corpo del colore della morte: la morte non ha prevalso su di Lui. Cristo invece è il re dell’universo, il Pantocrator. Presenta il capo eretto e frontale, il viso sereno e luminoso, gli occhi vivi e aperti, i capelli ordinatamente pettinati, le braccia distese e soltanto leggermente flesse ai gomiti, il busto diritto al pari delle gambe unite e parallele. I piedi sono trafitti ciascuno da un chiodo - non c’è l’invenzione medievale del particolare straziante che vede i piedi trafitti da un unico chiodo. Parimenti non c’è ancora la corona di spine, ma l’aureola crociata o gloria cruciforme. Un’iconografia che permarrà fino al Medio Evo centrale quando avrà un altissimo esemplare nel Cristo di Alberto Sotio a Spoleto.
Il Cristo può essere raffigurato con il corpo nudo e apollineo, alla maniera della suddetta opera di Alberto Sotio; oppure rivestito con la tunica sacerdotale, che può essere la veste dei monaci siriaci, il colobium, la tunica senza maniche, come nell’esempio famoso di Crocifissione di aria ‘storica’ affrescata in S. Maria Antiqua (sec. VIII) in Roma che sviluppa un tema soltanto abbozzato nelle ampolle dei pellegrini forgiate in Palestina e conservate a Monza e a Bobbio[8.
La datazione delle ampolle del gruppo “Monza-Bobbio” è comunemente fissata alla fine del VI secolo, poco prima che il papa Gregorio Magno, secondo una tradizione in questo caso non testimoniata dalle fonti ma ritenuta fededegna, ne facesse dono a Teodolinda. Ella, a sua volta, avrebbe compreso un gruppo di ampolle nei donativi per la fondazione dell'abbazia di Bobbio.
Le ampolle della Palestina sono in metallo - una lega di stagno e piombo secondo la maggioranza degli studiosi, argento secondo Grabar (1958) - e contengono campioni degli olii delle lampade accese nei santuari della Terrasanta. Sulle loro facce sono impresse le raffigurazioni dei principali episodi neotestamentari, tra cui ricorrono particolarmente Crocifissione e Ascensione[9].
4. Ampolla reliquiario – VI sec. – lega di piombo e stagno, argento – Monza, Museo e Tesoro del Duomo
In alcune di queste ampolle viene rappresentata la crocifissione, con la croce a tronco di palma, sul monte da cui sgorgano i quattro fiumi del Paradiso. Al vertice della croce si trova il capo del Cristo dai lunghi capelli, la barba e il nimbo crucigero, mentre a destra e a sinistra si trovano i due ladroni appesi al loro patibolo[10].
5. Cappella dei Santi Quirico e Giulitta o Cappella di Teodoto - 741-752 – affresco - Roma, S. Maria Antiqua
6. Crocifissione – 741-752 – affresco – Roma, S. Maria Antiqua, Cappella dei Santi Quirico e Giulitta o Cappella di Teodoto
Nella chiesa di S. Maria Antiqua, il più antico e il più importante monumento cristiano del Foro Romano, che conserva sulle sue pareti un'eccezionale raccolta di dipinti murali (circa 250 metri quadri), nella Cappella dei Santi Quirico e Giulitta – al martirio dei quali è dedicato il ciclo pittorico della cappella - o Cappella di Teodoto (dal nome committente, alto funzionario della chiesa di Roma) è raffigurata la Crocifissione. Il Cristo indossa il colobium, ovvero l’abito sacerdotale: è una veste particolarmente significativa perché la Crocifissione è dipinta nella nicchia posta sopra l’altare della parete meridionale.
La resa tiene conto tanto della tradizione bizantina quanto - e soprattutto - di un nuovo linguaggio più accessibile al popolo, evidente in certi dettagli realistici: i paletti conficcati alla base della croce per puntellarla, il dinamismo dei due soldati romani (Longino con la lancia del Destino e l'altro, con la spugna bagnata d'aceto). In S. Maria Antiqua, scrive Grabar, il Crocifisso è il centro di una grande composizione che annuncia il dinamismo delle grandi creazioni carolingie, con serafini, angeli, uomini d’ogni rango che si avvicinano alla Croce per adorarla[11].
Parimenti significativa è la Crocifissione di aria ‘storica’ di Rabbula. Vescovo di Edessa e rinomato scrittore, Rabbula prima di convertirsi al cristianesimo era prefetto. Quando si ritirò in monastero, donò tutti i suoi beni ai poveri.
La miniatura raffigurante la Crocifissione adorna l’Evangeliario scritto nel 586 da Rabbula in estrànghelo - il tipo più antico di scrittura siriaca - su due colonne. Il Codice fu certamente eseguito, come attesta il colofone (c. 292r), nel convento di S. Giovanni di Beth Zagba. L'esatta ubicazione di questo monastero, solo raramente menzionato nelle fonti scritte del sec. VI, non è nota, ma si ritiene che si dovesse trovare nella Siria settentrionale12].
7.Tetravangelo di Rabbula. Crocifissione – 586 – miniatura - Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana
Nell’iconografia del Triumphans il Cristo può indossare anche la tunica manicata, come nel Volto Santo di Lucca. Esprime il sacerdozio di Cristo che, morendo in croce, è divenuto altare, vittima e sacerdote: è il “grande sommo sacerdote”, il Megas Archiereus paolino[13].
8. Cristo in croce, detto della Santa Croce di Lucca – (part.) - sec. XVI (I metà) – legno scolpito e dipinto – nunc Roccagloriosa, Chiesa di S. Mercurio, olim Napoli, Chiesa della Croce di Lucca
Nel sec. XI gradualmente si sostituisce all’iconografia del Cristo Triumphans, proveniente dalla Palestina, dalla Siria e dalla Cappadocia, l’iconografia del Cristo Patiens, ovvero sofferente e morto sulla croce, proveniente sotto il profilo iconografico da Bisanzio.
L’iconografia del Patiens, dalla tipologia più umana e realisticamente descrittiva, si rinviene precisamente intorno al 1000 in miniature orientali prodotte nel monastero di Stoudios, che deve il suo nome a san Teodoro Studita, L’abate san Teodoro Studita fece del suo monastero una scuola di sapienti, di santi e di martiri vittime delle persecuzioni degli iconoclasti dai quali egli stesso fu ferocemente perseguitato per la sua appassionata difesa delle icone.
Nelle suddette miniature ci troviamo di fronte a immagini ‘di transizione’. Qui la morte di Gesù non ha certo i connotati realistici che caratterizzeranno le Crocifissioni occidentali, assomigliando piuttosto a una sorta di assopimento divino. I manufatti di Stoudios sono influenzati dalla teologia del monaco Niketas Stethatos il quale nel X secolo divulgò una concezione mistica della morte di Cristo. Nel Christus Patiens il viso e l’insieme sono sofferenti, ma non drammatici, come a manifestare un sonno divino: esprimono i patimenti e la morte, ma dichiarano nel contempo l'attesa della risurrezione.
9. Croce – metà del XIII sec. - smalto su rame - Napoli, Galleria Nazionale di Capodimonte
Come nel Cristo Triumphans, non c’è ancora la corona di spine, ma l’aureola crociata. Il corpo è quasi nudo per mostrare i segni della flagellazione e dei patimenti, resi con una certa evidenza: Nella precedente iconografia del Triumphans invece il sangue possedeva soltanto il valore di segno, precisamente di tipo apologetico teso a manifestare la realtà dell’incarnazione – la presenza del sangue e dei segni dei patimenti diverrà sempre più evidente nella successiva iconografia del Christus Dolorosus.
10. MAESTRO DEI CROCIFISSI BLU: Croce dipinta – XIII sec. (seconda metà) – tempera su tavola – Assisi, Museo del Tesoro della Basilica di S. Francesco
Il Christus Patiens tende a evidenziare la sofferenza del martirio salvifico nell’intera figura del Messia: nella testa reclinata sulla spalla destra, nella torsione del corpo inarcato e flesso come un arco nella sofferenza. In quanto partecipazione al dolore mano, la figura del Patiens viene offerta alla meditazione emotiva e partecipata del fedele sui dolori del Golgota.
La diffusione del Christus Patiens è favorita in Occidente dai Francescani poiché ben concorda con la religiosità emotiva ed umanizzata da essi sostenuta.
11. Crocifissione - XIII secolo – affresco – Salerno, Cripta della Chiesa del Santissimo Crocifisso
Nel Crocifisso del Codice Vaticano Latino 5729 si legge il passaggio in atto dall’iconografia del Triumphans all’iconografia del Patiens e vi si afferma sia la divinità del Cristo – corpo apollineo ed eretto, occhi aperti e vivi che guardano intensamente - in funzione antiariana, perché la sofferenza avrebbe velato la sua divinità, negata da Ario; sia la sua natura umana – accentuazione patetica del sangue e della drammaticità, mestizia del viso, in particolare dello sguardo e dei gesti, anche degli astanti, come la Madre, san Giovanni Evangelista, Longino – contro l’eresia monofisita che assegnava al Cristo la sola natura divina, di per sé impassibile. Il Concilio di Costantinopoli del 692 nell’XI canone dichiarava: “Bisognerà rappresentare nostro Signore sotto forma umana, bisogna che il pittore conduca a ricordare Gesù vivente in carne e ossa”.
12. Crocifissione. Illustrazione dalle Miniature del Codice Vaticano Latino 5729 - Biblioteca Apostolica Vaticana, Messale Romano (1983)
Il Cristo è su una grande semplice croce lignea il cui colore verde vuole alludere all’origine del legno sul quale venne crocifisso Gesù, secondo la Legenda Aurea di Jacopo da Varagine proveniente dall’albero nato sulla tomba di Adamo. La croce è profilata di rosso, segno del sangue versato da Cristo. Il Messia presenta il capo aureolato dal nimbo crociato, i capelli spartiti al centro, indossa un panno di rispetto dal colore azzurro. I piedi dai talloni accostati e dalle punte divergenti sono trafitti ciascuno da un chiodo, in accordo con l’originaria iconografia della crocifissione che seguiva le modalità secondo le quali si svolgeva storicamente il supplizio.
Ai piedi della croce, nel ‘calvario’: la testa di Adamo, simbolo dell’intera umanità sulla quale discende il Sangue liberatore del Signore Gesù crocifisso.
Alla destra del Cristo, la Madre, la quale sebbene abbia impresso sul volto i segni di un’accorata mestizia, ‘sta’ però eretta e composta: è la “Stabat Mater Dolorosa” la quale, sostenuta dalla fede nella parola del Figlio, stava dritta in piedi ai piedi della Croce. L’Artista mostra Maria quale cooperatrice alla Redenzione o, come sarà appellata dalla moderna teologia, Corredentrice, poiché la raffigura mentre protende entrambe le braccia verso il Cristo crocifisso, con le mani aperte verso l’alto nell’atto di offrire al Padre il Figlio a favore dell’umanità. La Vergine indossa una lunga veste rossa completa di velo che le avvolge il capo e, al di sopra, un mantello blu, secondo i colori che saranno suoi nella tradizione iconografica: il blu, segno dell’umanità ed il rosso, segno della divinità, colori simbolici della duplice natura divina ed umana del Figlio alla quale lei accede non per origine bensì per partecipazione. La Vergine Maria è vestita da vedova altolocata, ad indicare come, benché madre, non fosse mai stata moglie di nessuno. Il suo velo copre gran parte della fronte, segno in quel tempo di nobiltà [14].
San Giovanni indossa una lunga tunica azzurra ricoperta da un mantello verde chiaro indossato a guisa di toga. Leva il braccio destro nell’atto di portare la mano al viso, nel segno canonico del dolore [15], mentre il braccio sinistro, ripiegato alla vita a sostenere la toga, regge il Vangelo.
Tra il Figlio e la Madre, Longino trafigge il costato di Cristo, mentre tra il Maestro e il Discepolo un altro inquietante personaggio innalza verso il Redentore la spugna imbevuta di aceto. Rileva André Grabar che il successo di cui hanno goduto presso gli iconografi i personaggi del portatore di lancia e del portatore di spugna, è dovuto alla loro qualità di testimoni oculari della Crocifissione[16]. Al colpo di lancia inferto al fianco del Redentore è collegato il simbolismo del sangue e dell’acqua sgorgati dal costato di Cristo e interpretati quale figura della nascita della Chiesa. Molti Padri della Chiesa hanno visto nell’acqua il simbolo del battesimo, nel sangue quello dell’Eucarestia e in entrambi questi due sacramenti, il segno della Chiesa, nuova Eva che nasce dal costato di Cristo, nuovo Adamo.
La scelta operata dal miniaturista di realizzare una Crocifissione di aria ‘storica’ va necessariamente in direzione del distacco dall’arte bizantina non più rispondente alla crescente esigenza narrativa condotta con accenti di vivace, immediata comunicazione e note talvolta crude e drammatiche.
Il prof. Avagliano ha realizzato per la mostra una prima croce in ferro, nella quale le lamiere sagomate sono sovrapposte e incurvate a restituire una cifra tridimensionale. L’argenteo freddo del fondo è vitalmente tormentato dalle marezzature naturali provocate dagli ossidi di ferro gialli e rossi della ruggine. Sul corpo martoriato del Cristo, i selezionati interventi con gli acidi dicono drammaticamente la Passione, trascorsa ed ancora in atto. È un’opera che ha il sapore dell’iconografia del Christus Dolorosus dove l’accentuazione della drammaticità porterà alla creazione di immagini strazianti, dinanzi alle quali solo l’abitudine e la ripetizione delle forme espressive possono far dimenticare l’orrore e la pietà per la Persona ivi raffigurata. L’Artista vuole parlare al cuore indurito dall’allontanamento da Dio e inaridito da un’adesione a Cristo soltanto apparente: motivata dall’abitudine o dalla convenzione sociale, ma priva dell’incontro reale con la Persona del Cristo.
13. VINCENZO AVAGLIANO: Cristo crocifisso, dalla Crocifissione del Codice Vaticano Latino 5729 – 2009 – ferro sbalzato
Il significato teologico dell’iconografia del Christus Dolorosus che presenta il corpo appeso alla croce, senza alcun alito di vita, riguarda l’assoluta solidarietà del Figlio di Dio con il figlio dell’uomo, tanto da volerne condividerne la sofferenza e la morte, fino alla morte di croce sulla quale accetta di morire sentendosi abbandonato da tutti, perfino dal Padre, perché "Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio"[17].
Nella seconda, essenziale croce in legno, la severità delle linee verticali della noce manzonia esprime la tragica solennità dell’evento. In queste raffigurazioni la sagoma del Redentore è molto vicina a quella dell’orante – ed esprime il valore di intercessione universale del suo sacrificio salvifico[18]. Tale gesto della preghiera di intercessione è anche il gesto amoroso e accogliente della protezione e nel contempo della difesa: le braccia di Cristo sulla croce sembrano tendersi verso l’umanità come braccia protettrici.
14. VINCENZO AVAGLIANO: Cristo crocifisso, dalla Crocifissione del Codice Vaticano Latino 5729 – 2009 – legno scolpito
Ricordiamo l’accorata esclamazione di Gesù: “Gerusalemme, Gerusalemme, tu che uccidi i profeti e lapidi quelli che sono stati mandati a te, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto”[19]. Mosè nel cantico di addio descriveva il rapporto che lega JHWH a Israele con un’immagine che mette in luce la valenza esclusiva e potente dell’amore paterno ed insieme materno di Dio: “Come un’aquila che veglia la sua nidiata, / che vola sopra i suoi nati, / egli spiegò le ali e lo prese, / lo sollevò sulle sue ali”[20] ; ed il Salmista così prega cantando: “Proteggimi all’ombra delle tue ali” Sal 17, 8, ricordando: “Quanto è preziosa la tua grazia, o Dio! / Si rifugiano gli uomini all’ombra delle tue ali”[21].
Nella terza croce, ancora in legno, la sperimentazione mette in atto una plasticità materica trasmessa dal colore impastato con il cemento.
15. VINCENZO AVAGLIANO: Cristo crocifisso, dalla Crocifissione del Codice Vaticano Latino 5729 – 2009 – legno scolpito e dipinto, cemento
Ruolo cromatico fondamentale possiede il verde del fondo, che si illumina con il cromatismo complementare del rosso della cornice e della croce interna all’aureola e rende ancora più evidente il sangue che sgorga dalle trafitture dei chiodi e della lancia, segno apologetico della realtà dell’incarnazione del Verbo. La composizione esprime in maniera efficace la verità delle sofferenze di Cristo, vero uomo. La dignità e la dolcezza con le quali rivolge un amareggiato, intenso sguardo interrogativo a colui che, simbolo di tutti gli uomini, gli sta trafiggendo il costato, rinviano all’amorosa obbedienza verso il disegno salvifico del Padre, che passa attraverso la sua Passione.
Nell’iconografia del Patiens si manifesta parimenti la divinità di Cristo: la si rinviene qui anche nella giovinezza del viso e del corpo, secondo uno stato ideale di giovinezza del Christus puer che allude alla dimensione di eternità che gli è propria[22]. Così viene rappresentato sulla succitata porta lignea della basilica di S. Sabina a Roma ed in una delle ampolle palestinesi di Monza, delle quali abbiamo già parlato.
La classe del prof. Avagliano ispirandosi all'immagine della Bibbia di Ripoll ha realizzato sei crocifissi, dei quali quattro in legno e, guidata dal prof. Umberto Aliberti, due in ceramica.
16. UMBERTO ALIBERTI E ALLIEVI: Cristo crocifisso, dalla Crocifissione del Codice Vaticano Latino 5729 – (part.) – 2009 – ceramica policroma
Colpisce, tra le altre, una croce in ceramica di grande semplicità e potenza espressiva, nei solchi che incidono profondamente i tratti somatici del Cristo, le pieghe sintetiche della barba. La figura presenta un cromatismo dai toni terrosi che diventa luminoso e cangiante nell’uso sapiente della cristallina, quasi a significare l’approssimarsi dello status di corpo glorioso.
Il Corso Serale ha realizzato un crocifisso in plexiglass dai contenuti interventi cromatici: la sua trasparenza dialoga con la sottostante croce in ceramica, il cui biancore è attraversato dai bagliori ocracei e dorati delle decorazioni a motivi bizantineggianti.
Ancora, il Corso Serale ha presentato una Croce dipinta in ceramica policroma su pietra lavica. Grazie alla diversità degli smalti che restituiscono una differente matericità, dal verde fondo poroso emerge il corpo dalla pelle marmorea, levigata e lucida. La scelta della pietra lavica quale supporto dichiara la vicinanza al territorio e vuole evocare la terribilità del Vesuvio, in aderenza con la drammaticità dell’Evento.
17. ALLIEVI CORSO SERALE: Cristo crocifisso, dalla Crocifissione del Codice Vaticano Latino 5729 – 2009 – ceramica policroma e pietra avica
La prof.ssa Francesca Poto ha creato due incisioni policrome: sul globo terrestre si leva il legno su cui è crocifisso il Cristo Signore. In primo piano, si impennano i cavalli e fremono i buoi, associati al Sole ed alla Luna, gli astri la cui presenza nei clipei sovrastanti le braccia della Croce simboleggiano la partecipazione e lo sconvolgimento di tutta la Creazione che partecipa e si commuove dinanzi alla crocifissione del suo Creatore per mezzo del quale “sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra”[23].
18. FRANCESCA POTO: Cristo crocifisso, dalla Crocifissione del Codice Vaticano Latino 5729 – 2009 – incisione
Di solito sopra i bracci della croce si trovano tradizionalmente le personifi-cazioni del Sole e della Luna, ad indicare la commossa partecipazione del Creato di fronte al Dramma in atto.
Così i simboli astrali del sole e della luna sono presenti già nei rilievi delle ampolle con la raffigurazione dell’Anástasis e della Crocifissione, conservate nel Museo del Duomo di Monza (sec. VI): i simboli del sole e della luna, desunti dall’iconografia non cristiana, sono disposti simmetricamente ai lati del capo del Crocifisso nella chiesa romana di S. Maria Antiqua, cappella dei SS. Quirico e Giuditta, a garantire il valore perenne e cosmico del sacrificio della Croce.
Le suddette personificazioni, derivanti dai culti astrali antichissimi della Terra dei due Fiumi e del Mediterraneo, erano in seguito penetrate nell’iconografia principesca come immagine dell’aeternitas del monarca divinizzato e di lì, poi, del personaggio che inquadrano[24]. L’Autore della miniatura di Ripoll mostra una vasta conoscenza non soltanto della cultura cristiana, ma anche della cultura classica. La mitologia voleva il carro di Elios-Apollo trainato da cavalli di fuoco che alludevano al ruggente splendore del sole.
Ad Artemide-Diana, dea dell’argentea luna, erano associati i buoi che sul capo portavano la mezzaluna configurata dalle loro candide corna. Il Miniaturista raffigura così nel clipeo del sole, in primo piano, quattro rossi cavalli in corsa, ai quali fanno da contrappunto nel clipeo della luna quattro bianchi buoi dalle candide corna a mezzaluna.
Alle spalle degli animali, le personificazioni del Sole e della Luna a figura intera, riconoscibili rispettivamente dal raggio di fuoco che esce dai capelli fulvi del Sole e dalla bianca mezzaluna seminascosta nei capelli della Luna, la cui tunica ha il freddo colore del cielo. Entrambe le figure presentano una mano aperta e levata nell’antico segno del giuramento, che in questo caso attesta la divinità del Cristo crocifisso.
19. FRANCESCA POTO: Cristo crocifisso, dalla Crocifissione del Codice Vaticano Latino 5729 – 2009 – incisione
La stessa mostra realizzata dal Liceo “Andrea Sabatini” di Salerno dedicata all’iconografia del Crocifisso, arricchita da altre opere, ha inaugurato il giorno … l’inizio dei Lunedì vincenziani a Dragonea, sulla Costiera amalfitana, nel Santuario di S. Vincenzo Ferreri, precisamente nell’Oratorio pertinente alla Confraternita del S. Rosario.
La mostra di Dragonea ha visto l’attiva partecipazione dei fedeli del Santuario vincenziano i quali hanno arricchito l’iniziativa facendo esporre alcuni Crocifissi di loro proprietà che presentano l’iconografia del Christus Dolorosus. Tra le opere esposte, è presente anche il Crocifisso in argilla a cotto creato dall’artista benedettino, pittore e scultore, dom Raffaele Stramondo, inviato dall’Abate Benedetto Maria Chianetta della Badia della SS.ma Trinità di Cava – sotto la cui protezione si trova il Santuario vincenziano. Si ricollega alla primitiva iconografia del Christus Triumphans un moderno Crocifisso in legno d’olivo: rappresenta il Signore Gesù sulla croce vivo e splendente di divina potenza, vestito di una lunga tunica sacerdotale, le braccia aperte e levate, a ricordare che se non si crede nella sua risurrezione, “è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede”[25.
Salerno, maggio 2009-marzo 2010
Con preghiera di citare la fonte in caso di utilizzazione del testo per motivi di studio.
Adelaide Trabucco, Vincenzo Avagliano: Mostra La Croce ritrovata - maggio 2009 - Liceo Artistico "Andrea Sabatini", Salerno
[1] Cfr. A. CONTESSA, 2003; J. Pijoán 1911-1912; W. Neuss, 1912, 1922.
3 Cfr. A. GRABAR, Martyrium, Paris 1946, vol. II
[ 5] P. N. EVDOKIMOV, Teologia della bellezza. L’arte dell’icona, Milano 1990
9] Cfr. É. COCHE de LA FERTÉ, Ampolla, E A E, Treccani, 1958; V. ASCANI, Ampolla, E A M, Treccani, 1991.
[10] F. BISCONTI, Il patibolo e la tomba vuota, da “L’Osservatore Romano”, 6-7 aprile 2009.
[11] Cfr. A. GRABAR, Martyrium, op. cit.
[12] Cfr. G. FURLANI, Rabbula, E I, Treccani, 1935; M. DELLA VALLE, Rabbula, E A M, Treccani, 1991
[14] Cfr. A. M. AMMAN, La pittura sacra bizantina, Pontificium Institutum Orientalium Studium, Roma 1957.
[15] Cfr. A. GRABAR, Les voies de la création en iconographie chrétienne. Antiquité et Moyen Age, Paris 1968.
[16] Cfr. A. GRABAR, Martyrium, op. cit.
[18] A. GRABAR, Martyrium, Paris 1946, vol. II
[22] A. GRABAR, Martyrium, Paris 1946, vol. II
Proponiamo la presentazione della scultura Resurrectio di Vincenzo Avagliano, che ha avuto luogo nella cerimonia di inaugurazione avvenuta il 14 maggio 2011 a Castel San Giorgio. L'opera è stata posta su un bastione del sagrato che collega la Chiesa parrocchiale di S. Maria delle Grazie e la chiesa settecentesca di Maria SS. Immacolata curata dell'omonima Arciconfraternita.
Vincenzo Avagliano e il procedere della Resurrectio
di Adelaide Trabucco
Non sono frequenti le opere in scultura che hanno come tema la Risurrezione. Tra gli scultori che si sono cimentati con il suddetto soggetto ricordiamo Francesco Messina: nella Risurrezione di San Giovanni Rotondo rappresenta Cristo il quale nel mantello che gli fa corona porta con sé il vibrare tempestoso dell’evento. Ancora, Pericle Fazzini nella Risurrezione della Sala Nervi, la Sala delle Udienze in Vaticano, Cristo si eleva risorgendo da un foltissimo intrico di forme semiastratte che vogliono significare l’Orto del Geetsemani.
Come mai è così poco frequente tale argomento in scultura? La Risurrezione è un tema che sotto il profilo artistico richiede l’espressione della dinamica, per quanto oggettivamente impenetrabile essa sia, legata all’evento del passaggio dalla morte alla vita: è evidente che la materica staticità di una scultura in quanto tale è in antitesi con il movimento.
Ricordiamo il tentativo, assunto poi a valore paradigmatico, di visualizzare il movimento in scultura operato da Umberto Boccioni, in Forme uniche nella continuità dello spazio.
Ebbene, proprio il coniugare la dimensione della scultura con la dimensione del movimento è la sfida che accoglie e vince l’opera di Vincenzo Avagliano. In Resurrectio l’artista fa vedere il processo del percorso dalla morte alla vita: Cristo si stacca dalla croce e si rivela nelle sue sagome corporee che si succedono l’una dopo l’altra, quasi a mostrare i vari passaggi dell’avvenimento misterioso per eccellenza.
Cristo: le braccia aperte in un gesto che dalla crocifissione trapassa nella risurrezione verso la quale Egli procede inarrestabilmente, il polso destro legato al braccio della croce, il polso sinistro che ancora mostra il laccio che lo legava, ma ormai libero e staccato dal legno, le braccia protese in avanti a varcare e superare i limiti della materia, del tempo e dello spazio.
Cristo risorge non dal sepolcro, ma direttamente dalla Croce, a sottolineare come per l’Uomo-Dio la morte sia tutt’uno con la risurrezione, in quella inscindibile unità espressa dall’annuncio apostolico delle origini, quando la Chiesa nascente proclamava il cherigma di Cristo-morto-e-risorto.
A sottolineare, anche, come dal sacrificio della croce e quindi dalla sofferenza nasca la vita, per se stessi e per gli altri.
Nei mosaici di Mirco Ivan Rupnik, dalla Cappella Redemptoris Mater in Vaticano, al Convento delle Orsoline a Verona, la Risurrezione di Cristo, che nell’iconografia bizantina si svolge come Discesa agli Inferi dove il Signore discende per riportare con sé le anime dei giusti, il Cristo, luminoso e carico di vitale energia, si staglia contro il buio fitto che significativamente allude alle tenebre degli inferi. Parimenti il Cristo di Vincenzo Avagliano risorge nella sua imponenza michelangiolesca: una realtà nuova, non pienamente trasfigurata nel corpo di luce e che conserva ancora i segni delle lesioni dove san Tommaso Didimo, il gemello della nostra incredulità, commenta mirabilmente sant’Agostino, pose le sue dita e toccò le trafitture delle ferite.
Una materia dove, in un rapporto tumultuoso di chiari e di scuri, la luce combatte con le ombre e vince, affermandosi in un corpo che si staglia contro il suo stesso corpo inchiodato sulla croce, ancora avvolto dal mistero tenebroso della morte.
Quel mistero che permane percepibile nel viso del Cristo, gli occhi socchiusi a guardare indietro, a non dimenticare quelli che rimangono avvolti nelle tenebre e nell’ombra di morte che egli stesso, Uomo-Dio, ha attraversato: “Poiché dunque abbiamo un megas archiereus, un grande sommo sacerdote che ha attraversato i cieli, Gesù, Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della nostra fede. Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostra infermità, essendo lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato. Accostiamoci dunque con fiducia al trono della grazia, per ricevere misericordia e trovare grazia ed essere aiutati al tempo opportuno” (Eb 4, 14-16).
Con preghiera di citare la fonte in caso di utilizzazione del testo per motivi di studio.