Vincent van Gogh dipinge Campo di grano con volo di corvi nel 1890: è una delle sue ultime opere e preannuncia il suicidio dell’Artista, avvenuto il 29 luglio di quello stesso anno. Nello stesso mese di luglio aveva scritto al fratello Theo: “Ho ancora dipinto tre grandi tele. Sono immense distese di grano sotto cieli tormentati, e non ho avuto difficoltà per cercare di esprimere la mia tristezza, l'estrema solitudine”.
VINCENT VAN GOH: Campo di grano con corvi - 1890 - Museo Van Gogh, Amsterdam
L’opera, ed in generale l’arte di van Gogh, manifesta come la pittura del Nostro sia alla radice dell’Espressionismo nella sua capacità di imprimere con forza il proprio segno nella realtà, un segno che in van Gogh è segno dell’anima, della mente e del cuore. Il dipinto costituisce un esempio estremo di uso violentemente psicologico del segno e del colore.
VINCENT VAN GOGH: Notte stellata - 1889 - Museum of Modern Art, New York
Van Gogh ha appreso pienamente dagli Impressionisti le indicazioni riguardanti la reciproca influenza dei colori e la capacità che posseggono segnatamente i colori complementari di esaltarsi reciprocamente accentuando al massimo la loro specifica luminosità. Questi rapporti, però, non lo interessano come riscontri visivi, bensì come rapporti di forze all’interno del quadro: sono forze di attrazione, ma anche di repulsione, e comunque sempre manifestano tensione. A motivo di tali rapporti e contrasti di forze l’immagine tende a distorcersi, a deformarsi, a lacerarsi: per l’accostamento stridente dei colori, per l’andamento spezzato dei contorni, per il ritmo serrato delle pennellate, che fanno del quadro un contesto serrato di segni animati da una vitalità febbrile. La materia pittorica acquista un’esistenza autonoma, esasperata, quasi insopportabile: il quadro non rappresenta, è. Così in Campo di grano la scena, realizzata con autentico furore creativo, è composta da pennellate che seguono la direzione dei piani prospettici o si accavallano. Il campo di grano, tagliato da tre viottoli, appare scosso dal vento; uno stormo di corvi neri, resi con semplici linee zigzaganti, si leva in un basso volo scomposto. Una tempesta, quasi presaga di lutto, incombe su questo paesaggio, anticipata da nubi nere e minacciose. L’azzurro luminoso del cielo, l’oro lucente del grano, vinti dal colore scuro che li copre, stanno per soccombere, come l’artista che li dipinge, in un ultimo, disperato appello di vita.
VINCENT VAN GOGH: Iris blu - 1889 - J. Paul Getty Museum, Los Angeles
Eppure non molto anni prima aveva scritto al fratello: “Per quanto vuota, vana e morta possa sembrare la vita però, chi ha fede, energia e calore umano, colui che sa qualcosa, non si lascia portare su una strada sbagliata per questo. Egli ci si butta e costruisce, in breve rompe, rovina” (Nuenen, ottobre 1884).188
VINCENT VAN GOGH: Veduta di Arles in fiore - 1889 - Neue Pinakothek, Monaco
I paesaggi di van Gogh, i fiori di van Gogh sono la trasposizione simbolica di uno stato d’animo e di una situazione esistenziale, testimoniata, fra i tanti passi delle sue lettere, dalle parole scritte da Cuesmes al fratello Theo dieci anni prima: “Il mio tormento si riassume in questo interrogativo: a che potrei servire, come potrei essere utile in qualche modo, come potrei saperne di più e approfondire questa o quella cosa? Vedi, tutto questo mi tormenta continuamente e mi sento prigioniero, impotente a partecipare a tale o tal’altra opera. A causa di questo si diviene malinconici”.
VINCENT VAN GOGH: Pietà - 1890 - Musei Vaticani
Il 27 luglio 1890 van Gogh si sparò un colpo di pistola al petto. Visse ancora due giorni, durante i quali conversava con il fratello Theo accorso da lui. Ci piace pensare che in quelle ore, che possono essere state un tempo di grazia, sia continuata in lui quella dialettica che aveva attraversato tutta la sua vita e che lo aveva condotto a dire: “Se si continua ad amare sinceramente ciò che è veramente degno di essere amato, e non si spreca il proprio amore per delle cose insignificanti, vuote e sciocche, si riceverà poco a poco sempre maggior luce e si diventerà più forti” (Amsterdam, 3 aprile 1878). E qualche anno più tardi, non dimentico di quella scelta della sua gioventù che lo aveva condotto a condividere la vita durissima e misera dei minatori del Borinage, aveva messo a fuoco e puntualizzato: “il miglior modo per conoscere Dio è quello di amare molto. Ama il tale amico, la tale persona, la tale cosa, quel che vuoi e sarai sulla via del sapere, ecco ciò che mi ripeto. Ma occorre amare con simpatia seria e intima, con volontà, con intelligenza e bisogna sempre cercare di saperne di più o meglio – questo conduce a Dio, alla fede incrollabile” (Cuesmes, luglio 1880). Aveva così magistralmente interpretato il "Dilige et quod vis fac" (In Io. Ep. tr. 7, 8) di sant'Agostino: "Ama e fa' ciò che vuoi, sia che tu taccia, taci per amore, sia che tu parli, parla per amore, sia che tu corregga, correggi per amore, sia che perdoni, perdona per amore; sia in te la radice dell'amore, poiché da questa radice non può procedere se non il bene".
VINCENT VAN GOGH: Mandorlo in fiore - 1890 - Museo Van Gogh, Amsterdam
Con preghiera di citare la fonte in caso di utilizzazione del testo per motivi di studio.
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