PAOLA PATRIARCA: Porta di S. Francesco - anno 2016 - bronzo - 

Basilica Papale di S. Maria Maggiore, Roma - courtesy Paola Patriarca

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Giovanni Antonio da Pesaro, pittore per sensibilità e formazione vicino a Gentile da Fabriano, dipinge una rara effigie che coniuga l’iconografia della Madonna del Mantello o Madonna della Misericordia con l’iconografia bizantina della Madre di Dio del Segno, conosciuta in Italia nelle aree dov’erano maggiori i contatti con l’oriente, quale, nel nostro caso, la costa adriatica. La tavola, realizzata per il Santuario di S. Maria dell’Arzilla vicino Pesaro, di origine medievale, è firmata, datata, nonché ulteriormente storicizzata dall'indicazione dell’identità del Committente. Alla base del dipinto si trova una dettagliata iscrizione, in lettere gotiche di color rosso, che attesta: “Giovanni Antonio Pesarese ha dipinto. Ave Maria. Nell’anno del Signore 1462 il giorno 8 dicembre questa immagine di S. Maria della Misericordia commissionò la comunità di Saltara”. 

Compare in Occidente nel XIII secolo la rappresentazione della Vergine del Mantello la quale per la sua misericordia copre i fedeli con il suo manto in un gesto di protezione, di difesa, di amore.

SIMONE MARTINI: Madonna della Misericordia o del Mantello - 1305-1310 ca. - tempera e oro su tavola - Pinacoteca Nazionale di Siena

 

 

Proponiamo in questa sede anche la Madonna del Mantello dipinta da Domenico di Michelino nel 1446 circa e restaurata nella Bottega di Francesco Granacci agli inizi del secolo XVI. È precisamente appellata Madonna degli Innocenti o Madonna dei Gittarelli, dipinta sullo stendardo del brunelleschiano Spedale degli Innocenti. L’Istituzione volle scegliere per sé tale denominazione che richiamasse la erodiana Strage  degli Innocenti (Mt 2, 1-16) poiché sorse a Firenze nel 1448 per accogliere i neonati lasciati,  “gittati”, nella ruota a conca dalle madri che, per varie ragioni, non potevano allevarli – da qui l’appellativo di Madonna dei Gittarelli. Sono bambini e bambine di età differenti e dal conseguente diverso abbigliamento: alcuni in fasce, altre parzialmente fasciati e con le gambine libere, altri con bianchi vestiti a camicina, altri con il grembiulino nero recante lo stemma degli Innocenti, un bimbo avvolto nelle fasce. Nella loro diversità li accomuna l’espressione dolce, serena e mesta dei visi, la naturale vivacità dell’età che si manifesta, pur nella compostezza della messa in posa per il ritratto, nel repentino volgersi delle teste e nel vario incrociarsi degli sguardi, i sentimenti di affetto e protezione gli uni verso gli altri e la richiesta di amore e difesa nei riguardi della Vergine, esplicitamente manifestata dal bimbo che si appoggia con abbandono e confidenza al corpo della Madonna che, sotto il mantello, indossa la lunga veste rossa della Charitas divina.

 

 DOMENICO di MICHELINO: Madonna del Mantello o Madonna degli Innocenti - 1446 ca. - tempera su tela  - Galleria dello Spedale degli Innocenti, Firenze

 

 La Madre di Dio del Segno è un’immagine di derivazione bizantina di cui Andrè Grabar individua magistralmente le origini nell’iconografia  del tema dell’incarnazione e della concezione, nell’ambito della categoria dei dogmi raffigurati da immagini giustapposte. Nell’iconografia usuale dell’incarnazione un raggio di luce discende su Maria e la colomba dello Spirito Santo vola su di lei o discende verso il suo orecchio. A partire da questa iconografia consueta, verso il IX secolo  nell’Impero bizantino se ne sviluppa un’altra: Maria  in preghiera con le braccia alzate nel gesto dell’Orante e il Bambino racchiuso in un clipeo sul  petto di lei. Questo singolare motivo era una convenzione per mostrare, per così dire in trasparenza, il Bambino che doveva nascere[1]. L’effigie manifesta le parole del profeta Isaia: “Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele”[2]. L’evangelista san Matteo, il più attento alla continuità ed alle anticipazioni e corrispondenze fra Antico Testamento e Vangelo, legge nella profezia di Isaia l’annuncio della nascita di Gesù, l’Emmanuele ovvero il Dio-con-noi, il Segno dato da Dio – da cui il nome di Madre di Dio del Segno assegnato all'icona.

Madre di Dio del Segno o Platytera - XIII secolo - tempera e oro su tavola - Monastero di S. Caterina sul Sinai

 

La tavola di Giovanni Antonio da Pesaro raffigura la Madonna della Misericordia o del Mantello mentre copre con il suo manto i fedeli, recando sul petto non un clipeo,  ma una mandorla, simbolo dell’universo che custodisce al suo interno il Bambino di cui viene messa in risalto la divinità. Egli è raffigurato nudo con un lieve panno di rispetto sui fianchi, ben saldo in piedi, mentre con la mano destra benedice e con la mano sinistra regge una sottile croce astile che all’incrocio dei bracci presenta il globo, altro simbolo del  Creato, a sottolineare il concetto del governo misericordioso di Cristo sull’universo.

Se è vero che nel cuore della madre c'è il figlio,  in questo caso singolare nel cuore della creatura c'è il Creatore, colui che “i cieli e i cieli dei cieli non possono contenere, né tantomeno il Tempio"[3]. Egli in Maria “ha fatto grandi cose  guardando l’umiltà della sua serva"[4] la quale da san Basilio, Padre della Chiesa, è appellata Platytera, la più vasta dei cieli tanto da accogliere il Verbo fatto carne, colui che i cieli non possono contenere: “Tu, sede di Dio, l’Infinito”[5] canta l’inno liturgico Akathistos (V-VI secolo).  Ed è colui il quale nella Madonna della Misericordia e Madre di Dio del Segno fa vedere Gesù, segno e strumento della Misericordia del Padre, in lei “clemenza di Dio verso l’uomo / fiducia dell’uomo con Dio”[6].

 

 

 

 

 

 



   [1] Cfr.  Andrè grabar, Le vie della creazione nell’iconografia cristiana, Ed. Jaca Book, Milano 1988, p. 159.

   [2] Is 7,14

   [3] Cfr. 1 Re 8,27

   [4] Cfr. Lc 1, 46-55

   [5] Akathistos, stanza 15, v. 6.

   [6] Akathistos, stanza 5, vv. 16-17.

  

 

 Con preghiera di citare la fonte in caso di utilizzazione del testo per motivi di studio.

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Presentiamo il commento critico sui mosaici creati da Marko Ivan Rupnik e da lui realizzati in collaborazione con il Centro Aletti nel 1996-1999 per la Cappella Redemptoris Mater nel Palazzo Apostolico in Vaticano.  Lo scritto, pubblicato sul settimanale "Agire" il 2 dicembre 2000, è accompagnato nella presente sede da un ampio corredo iconografico al fine di rendere partecipi i lettori di un capolavoro dell'arte contemporanea.

 

 

 

 

L'Annunciazione - Parete dell'Incarnazione del Verbo - (part.) - Cappella Redemptoris Mater

 

 Anastasis e Battesimo di Cristo, Parete dell'Incarnazione del Verbo  - (part.) - Cappella Redemptoris Mater

 

La Crocifissione - Parete dell'Incarnazione del Verbo - (part.) - Cappella Redemptoris Mater

                                                                                                                                     Giuda

                                                                                          Parete dell'Incarnazione del Verbo - (part.) - Cappella Redemptoris Mater
 



 Pentecoste, Ascensione  - Parete della divinizzazione dell'uomo - (part.) -  Cappella Redemptoris Mater

 

La Decollazione di san Paolo - Parete della divinizzazione dell'uomo - (part.) - Cappella Redemptoris Mater

                                                                                                                       Santa Edith Stein ad Auschwitz

                                                                           Parete della divinizzazione dell'uomo - (part.) - Cappella Redemptoris Mater

 

Mosè - Parete della Parousia - (part.) - Cappella Redemptoris Mater

La Parousia - Cappella Redemptoris Mater

Noè - Parete della Parousia  - (part.) - Cappella Redemptoris Mater

 Parete dell'Incarnazione del Verbo - Cappella Redemptoris Mater

 

 

Con preghiera di citare la fonte in caso di utilizzazione del testo per motivi di studio.   

 

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Mercoledì, 19 Giugno 2013 18:06

Maria nella Pentecoste

La discesa dello Spirito Santo è il fine ultimo dell'attività soterica trinitaria, come affermavano già i Padri della Chiesa. Nel De Incarnatione Verbi scrive sant’Atanasio di Alessandria, formidabile difensore della consustanzialità del Figlio rispetto al Padre, negata dall'eresia ariana: "Il Verbo ha assunto la carne affinchè noi potessimo ricevere lo Spirito Santo". Qual'è il ruolo della Beata Vergine Maria nella discesa dello Spirito sugli uomini, sia ora sia nell'evento storico della Pentecoste? Seguendo per la ricerca un'impostazione ecumenica, l'articolo rileva come le invenzioni iconografiche siano numerose e diversificate sia nell'Oriente sia nell'Occidente; presentato su “Agire” (sabato, 1° giugno 1996)  è da collocarsi nell'ambito delle ricerche che ho svolto in merito alle immagini dedicate alla Madre di Do nella Pentecoste, effettuate in occasione dell'Anno Mariano Diocesano tenutosi nella Diocesi di Salerno-Campagna-Acerno nel 1996. Il presente elaborato è corredato da una ricerca iconografica che spazia dal dipinto di El Greco al Prado, al mosaico della Cupola di S. Marco a Venezia, alla miniatura del Codice de' Predis che vede ciascun Apostolo reggere tra le mani un cartiglio con un articolo del Credo, sottolineando così il legame diretto tra l'effusione dello Spirito Santo e la Fede. La presenza di Maria nelle raffigurazioni della Pentecoste è attestata  fin dalla prime testimonianze figurative...

 

 

 

Con preghiera di citare la fonte in caso di utilizzazione del testo per motivi di studio.

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Il quadro della Beata Vergine del Santo Rosario di Pompei e Serafini, dipinto da Adelaide Trabucco nel 2007, è stato un atto di devozione per una grazia ricevuta attraverso la preziosa intercessione della Beata Vergine del Santo Rosario venerarata nel Santuario di Pompei, nella consapevolezza che altre grazie, tanto più numerose, le saranno palesi soltanto in Cielo.   

 

   All'usuale iconografia, l'Autrice ha voluto aggiungere l'immagine dei Serafini come presenza invisibile ma reale che di certo circonda la Madre con il Figlio Divino, e che si dispiega esplicitamente o implicitamente nell'iconografia rosariana nel corso dei secoli.    

 

 

Iconografia rosariana

 

di Adelaide Trabucco  

 

 

 

 

 

La preghiera del Rosario nasce nel XII secolo quando i monaci Cistercensi, partendo dalla tradizione di dedicare alla Vergine una corona di rose, elaborarono una speciale ghirlanda: una preghiera che chiamarono appunto Rosario, paragonata ad una mistica corona di rose offerte alla Madonna. Questa devozione viene perfezionata e resa popolare da san Domenico il quale, secondo l’asserzione del Beato Alano de la Roche, nel 1214 riceve il primo rosario dalla Vergine Maria che lo indica come rimedio per la conversione dei non credenti, per la salvezza dei peccatori e per sconfiggere l’eresia albigese. Fiorisce così la devozione del S. Rosario: suoi propagatori sono i Domenicani che  con la  loro predicazione lo divulgano nell’intera Europa e che hanno inoltre il merito di creare le Confraternite del Rosario.

Il frate domenicano Giovanni da Fiesole, al secolo Guido di Pietro, era un grande innamorato della Beata Vergine Maria e del Rosario. La tradizione narra che, giovane frate, ritornava una sera al convento, recitando il Rosario. Attraversava la campagna. Gli apparve la Regina del Cielo; tanti Angeli le stavano vicino, cantando ed intrecciando una corona di rose. Il frate interruppe la recita del Rosario per contemplare quella scena di Paradiso. Gli Angeli interruppero pure il canto e lasciarono incompiuta la corona di rose. Sorpreso, il Beato Angelico ripigliò la preghiera e gli Angeli ricominciarono a cantare. Ad ogni Ave Maria, una nuova rosa veniva inserita nella corona. Terminato il Rosario, il serto di rose fu presentato dagli Angeli a Maria. Il frate non dimenticò più la visione. Si sforzò di riprodurla in pittura. Trascorse la vita nella preghiera e nel lavoro, lasciando una grande quantità di quadri, rappresentanti la Madonna e gli Angeli.

Venne chiamato Beato Angelico per la sua capacità di ricreare l’atmosfera angelica che circondava i soggetti religiosi che ritraeva nei suoi dipinti, rinnovando nel Quattrocento l’arte sacra secondo la nascente visione rinascimentale alla quale aderì in modo sublime in termini di luce, di colore e di spirituale grazia. Negli ultimi istanti della vita, mirò a lungo in alto, quasi trasfigurandosi in viso per l'emozione; poi esclamò: “La Madonna è molto più bella di quanto io l'abbia dipinta!” E spirò. E’ significativo che  fra Giovanni  è l’unico artista, in tutta la storia della Chiesa, nel cui processo canonico  non sono stati allegati scritti  teologici o spirituali ma il catalogo completo dei suoi capolavori di arte e di fede. Sempre  Giovanni Paolo II il 18 febbraio 1984 lo ha proclamato Patrono Universale degli Artisti. 

 


BEATO ANGELICO: Madonna col Bambino, Angeli e Santi - (part.) - 1448 - Galleria Nazionale dell'Umbria, Perugia 

 

L’orazione del Rosario riceve il suo battesimo ufficiale nel 1569 ad opera del papa san Pio V che emana una specifica bolla, Consueverunt Romani Pontifices. In concomitanza con la struttura definitiva della preghiera, si origina l’iconografia riguardante la Beata Vergine del Santo Rosario della quale la prima rappresentazione conosciuta è la silografia che orna il frontespizio della seconda edizione dello Statuto (1477) riguardante la prima Confraternita del Rosario eretta a Strasburgo nel 1475 dal frate Giacomo Sprenger priore dei domenicani di Colonia. La città nel 1474 aveva scongiurato il pericolo della guerra grazie alla protezione della Vergine invocata, su ispirazione di Sprenger, mediante il Rosario. Superato il pericolo della guerra, viene istituita la Confraternita: i primi iscritti sono l’imperatore Federico III e il legato pontificio, vescovo Alessandro Malatesta.

 

 

Sono i personaggi raffigurati nella silografia: la Beata Vergine in trono col Bambino, entrambi ritratti mentre porgono corone di rose. Il Bambino si volge al vescovo Malatesta, davanti al quale è inginocchiato il priore Sprenger, la Vergine si rivolge a Federico III, imperatore del Sacro Romano Impero, ai piedi del quale è inginocchiata la moglie Eleonora d’Aviz, infanta del re di Portogallo, Edoardo.

 

 

Alla prima Confraternita istituita in Italia dal domenicano tedesco Giovanni di Erfordia, nella chiesa di S. Domenico di Castello a Venezia, risale un secondo prototipo di iconografia del Rosario: la copertina dello Statuto presenta una xilografia stampata verso il 1480 - attualmente al Museo Nazionale Germanico di Norimberga - che vede la Beata Vergine in piedi, senza il Bambino Gesù, le mani giunte in preghiera., circondata da Angeli in volo, mentre ai suoi piedi sono inginocchiati il frate Giovanni di Erfordia e un laico elegantemente vestito dalle cui mani giunte pende la corona del Rosario – forse Leonhard Vilt, fondatore della confraternita del Rosario a Venezia.
 

ALBRECHT DÜRER: La Festa del Rosario - 1506 - Narodni Galerie, Praga

 
La Festa del Rosario, celebre dipinto di Dürer, si ispira all’iconografia della Confraternita di Colonia e ad altri precedenti iconografici legati a questo tipo di devozione come i Rosenkranzbild (immagini del Rosario) in cui la Madonna è raffigurata nell'atto di distribuire serti di rose bianche e rosse al popolo in venerazione, presenti i membri di ogni classe sociale. In Dürer le supreme autorità della terra, dal Pontefice Sisto IV all'Imperatore Federico III (che l'Artista ritrasse con le sembianzr del figlio Massimiliano I), al cospetto della Vergine hanno deposto in terra rispettivamente il triregno e la corona imperiale, chinandosi con devozione per ricevere le ghirlande di rose che la Vergine e il Figlio pongono sul loro capo: le uniche corone ammesse sono quelle del Rosario distribuite dalla Beata Vergine e dal Bambino, aiutati da san Domenico e dagli Angeli, a tutti i presenti, dall'Imperatore al soldato, dal Patriarca di Venezia, al Cappellano, ai semplici fedeli. Non è un caso che tutti i devoti del Rosario appartengano alle varie classi sociali: all'interno del popolare scritto devozionale Il Rosario della gloriosa Vergine Maria, nel capitolo "Ammonitione per entrare nella fraternità", si sottolinea che la Confraternita del Rosario "abbraccia tutti, cioè ricchi e poveri, huomini e donne, signori, prelati, re et principi, et niuno è escluso" (dall'edizione di Venezia, presso Gio. Antonio Bertano, 1587). L'opera è scritta a Venezia nel 1521 dal domenicano Alberto di Castello al quale si deve anche la struttura del Rosario di 15 Pater noster e di 150 Ave Maria, semplificata rispetto alla complessità della precedente configurazione, e codificata nella bolla Consueverunt Romani Pontifices, datata 12 settembre 1569 - dove per la prima volta si trova una precisazione spirituale di fondamentale importanza, ovvero che la meditazione dei Misteri del Rosario (non la meccanica ripetizione delle preci) è la condizione necessaria per ottenere le indulgenze.

 

 

ANTOON van DYCK: La Madonna del Rosario con san Domenico e santa Caterina da Siena e i santi Vincenzo Ferreri, Oliva, Ninfa, Agata, Cristina e Rosalia  - 1625-1627 - Palermo, Oratorio di S. Domenico, Presbiterio

 

 Gli artisti italiani predilessero una diversa iconografia che valorizzava il ruolo svolto da san Domenico: la Vergine, su una nuvola, si mostra a san Domenico inginocchiato e gli porge la mistica corona, come nella suggestiva pala d’altare di Antoon van Dyck commissionata in occasione della peste che aveva colpito Palermo nel 1624, e consegnata nel 1628. Il dipinto raffigura la Madonna del Rosario con san Domenico e santa Caterina da Siena e i santi Vincenzo Ferreri, Oliva, Ninfa, Agata,Cristina e Rosalia, e fu realizzato per volere della Compagnia della Madonna del Rosario, che nel 1574 aveva fatto edificare il mirabile Oratorio del Rosario di S. Domenico accanto all'omonima chiesa.


 ADELAIDE TRABUCCO: Madonna del S. Rosario di Pompei e Serafini. San Domenico - ( part.) - 2007 

 

 

L'iconografia della pittura italiana privilegiò anche un altro schema iconografico che presenta la Beata Vergine in trono con il Bambino sul braccio destro: la Madre di Dio dona il Rosario a santa Caterina, il Figlio lo porge a san Domenico. Lo schema nasce nell'ambito dei Domenicani del Convento di Castello a Venezia - un'immagine si trova nella succitata opera di Alberto di Castello - e su di esso si fonda l'iconografia della Vergine del Rosario di Pompei (Cfr. Gilles Gérard Meersseman, Ordo Fraternitatis. Confraternite e pietà dei laici nel Medioevo, 3 voll., Herder, Roma 1977, vol. 3, pp. 1163-1218). 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ADELAIDE TRABUCCO: Madonna del S. Rosario di Pompei e Serafini. Santa Caterina - (part.) - 2007  



 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                                                                                                                                                               

                                                                                                                           

La preghiera del Rosario riceve un grande impulso dalla vittoria di Lepanto da parte della  flotta cristiana partita per far fronte ai Turchi che minacciavano l’integrità e l’identità territoriale, culturale e spirituale dell’Europa. Il pontefice san Pio V si adoperò in tutti i modi per unire i cristiani in una Lega. Così l'imperatore, il granduca di Toscana, Venezia, l'Ordine di Malta e parecchi principi italiani armarono una flotta. La Lega Santa partì dal porto di Messina il 7 ottobre 1571 verso le 12 del mattino e in vista della flotta turca (nel golfo di Patrasso, nell’area denominata Lepanto) su ogni nave fu celebrata la Messa, mentre i frati Francescani, Domenicani e Gesuiti a prora delle galere tenevano i crocefissi alzati e benedicevano i soldati. Le fonti storiche riportano che anche il Papa a quell’ora si raccoglieva in preghiera. La feroce battaglia durò cinque ore e costò la vita a circa 8.000 cristiani, consentendo la liberazione di 15.000 schiavi cristiani e segnando la fine della supremazia turca nel Mediterraneo.

 

 


 PAOLO VERONESE: Allegoria della battaglia di Lepanto - 1572 - Gallerie dell'Accademia, Venezia  

Paolo Veronese dedicò alla battaglia di Lepanto due rappresentazioni, nelle quali si ritrova il suo specifico cromatismo luminoso e intenso. Un’opera si trova nel Palazzo Ducale, Sala del Collegio ed è un quadro votivo, denominato Sebastiano Venier ringrazia il Salvatore per la vittoria di Lepanto, proposto al concorso ufficiale istituito dalla Repubblica di Venezia nel 1571 per la celebrazione della battaglia di Lepanto: in alto è raffigurato Cristo imperator mundi nella gloria celeste, ai suoi piedi in adorazione Sebastiano Venier, che diverrà doge di Venezia, e Agostino Barbarigo. Lontana strutturalmente è l'Allegoria della battaglia di Lepanto - appellata anche La Vergine accoglie le suppliche dei Cristiani e permette la Vittoria di Lepanto 7 ottobre 1571. La tela rappresenta due scene ben distinte ma fortemente collegate fra loro. Nello spatium coeli la personificazione di Venezia (o della Fede) appare avvolta in un candido manto mentre viene presentata alla Madonna.s L'accompagnano i santi Pietro, Rocco, Giustina e Marco. In secondo piano, sempre nella zona superiore, si trova una schiera di Angeli. Nello spatium terrae viene raffigurata la battaglia navale di Lepanto.

 

San Pio V, che aveva ordinato la recita del Rosario in tutta la Cristianità, il 7 ottobre vide soprannaturalmente la vittoria prima ancora che gli ambasciatori trasmettessero la notizia a lui e a tutta Europa – la notizia giunse a Roma per via ‘ordinaria’ il 21 ottobre -  e attribuì la vittoria a “Maria aiuto dei cristiani”, stabilendo che il 7 ottobre fosse commemorata S. Maria della Vittoria. Un dipinto di Lazzaro Baldi, datato 1673 e conservato nel Collegio Ghislieri di Pavia dove san Pio V aveva insegnato teologia, raffigura san Pio V mentre ha la visione della battaglia di Lepanto.

   Papa Gregorio XIII in seguito istituì definitivamente il giorno 7 ottobre in onore della Madonna del Rosario. In tutta Europa le nazioni festeggiarono l’evento, basti pensare che la regina Elisabetta I d’Inghilterra, benché scomunicata dal pontefice, considerò Lepanto un trionfo dell’intera cristianità, una garanzia di sopravvivenza per i valori che reggevano l’Europa e ordinò alla chiesa Anglicana di indire cerimonie di ringraziamento a Dio. A Venezia la vittoria fu celebrata intonando il Te Deum di ringraziamento. Il Senato Veneto, che pure era composto da uomini fieri e addestrati a sfidare i più gravi pericoli in mare e in terra, attribuì alla Madre di Dio il merito principale della vittoria e sul quadro fatto dipingere nella sala delle sue adunanze fece scrivere queste parole: “Non virtus, non arma, non duces, sed Maria Rosarii, victores nos fecit”, ovvero, “Non il valore, non le armi, non i condottieri, ma la Madonna del Rosario ci ha fatto vincitori”.

 

Degno di attenzione è il dipinto di Grazio Cossali, S. Pio V attribuisce alla Madonna del Rosario il merito della vittoria di Lepanto (1597, Chiesa di Santa Croce di Bosco Marengo, vicino Alessandria). Nello spatium coeli la Beata Vergine dona il Rosario a san Domenico, mentre il Bambino lo consegna  a santa Caterina che gli indica il luogo della battaglia di Lepanto. Nello spatium terrae san Pio V si rivolge con lo sguardo allo spettatore e con la mano gli mostra i personaggi celesti, veri artefici della vittoria. Alla sinistra del pontefice si scorge suo nipote, il cardinale Michele Bonelli che aveva guidato i negoziati per costituire la lega delle nazioni cristiane. Alla destra di san Pio V sono raffigurati in atteggiamento di preghiera l’imperatore Filippo II e il doge Alvise I Mocenigo. In molti quadri dipinti dopo la battaglia di Lepanto, difatti, compaiono, insieme con la Madre di Dio ed il Bambino Gesù, a san Domenico e santa Caterina da Siena,  anche gli artefici della Lega Santa contro i turchi e della vittoria di Lepanto: san Pio V, l’imperatore Filippo II, Don Juan d’Austria, fratellastro dell’Imperatore e comandante della flotta cristiana, Anna d’Austria, consorte dell’Imperatore ed altri protagonisti storicamente individuabili. Accanto ad essi vengono raffigurati anonimi gentiluomini, dame, suore, religiosi, contadini, popolani, tutti accumunati dalla preghiera-azione del Rosario. 

 

 


GIOVAN BATTISTA SALVI detto IL SASSOFERRATO: Madonna del Rosario con san Domenico e santa Caterina da Siena - 1643 - Basilica di S. Sabina, Cappella di santa Caterina da Siena, Roma

 A partire dalla prima metà del XVII secolo, l’iconografia del Rosario non mostra più con frequenza i personaggi evocanti la vittoria di Lepanto, ma si presenta nello schema piramidale che vede all’apice la Beata Vergine con il Bambino, e in basso san Domenico e santa Caterina, iconografia alla quale si riferisce anche l’artista che dipinse il famoso quadro della Beata Vergine di Pompei, ispirandosi molto probabilmente alla Vergine del Rosario realizzata nel 1643 da Giovanbattista Salvi detto il Sassoferrato, e conservato nella basilica paleocristiana di S. Sabina a Roma. Il capolavoro del Sassoferrato associa l'armoniosa serenità della Vergine, figura di atmosfera raffaellesca, con l'emotivo, vibrante dinamismo di santa Caterina, che anticipa la santa Teresa d'Avila del Bernini nella Cappella Cornaro in S. Maria della Vittoria.

 

 

Descrive la vicenda straordinaria del beato Bartolo Longo l’Arcivescovo di Pompei Carlo Liberati: «Ci fu un uomo mandato da Dio in questa valle: si chiamava Bartolo Longo. Veniva dalle Puglie. Correva l’anno del Signore 1872. I cattivi Maestri del primo Ottocento l’avevano fatto smarrire sui vicoli ciechi dell’agnosticismo, del razionalismo, dell’ateismo, nonostante avesse ricevuto una buona educazione religiosa. Ma due angeli, il Prof. Pepe, laico, e il P. Radente, domenicano, e una donna eccezionale, oggi Beata, Caterina Volpicelli, lo ricondussero sulle vie del Signore e gli restituirono la gioia di vivere. Qui a Pompei, in un non precisato giorno dell’ottobre 1872, attraversando i campi della Contessa Farnararo De Fusco che lo aveva chiamato ad amministrare, una voce misteriosa gli si fece sentire dal profondo dell’intelligenza, della coscienza e del cuore e gli disse: “ Se cerchi salvezza, propaga il Rosario. È promessa di Maria. Chi propaga il Rosario è salvo!” La campana di mezzogiorno suonava l’Angelus Domini. Di chi era la voce? Gli aveva parlato la Vergine Maria. Dopo un certo smarrimento e la preghiera sulla nuda terra, riprese il cammino. Ma era diventato un altro: come Paolo sulla via di Damasco. La Madre del Signore e nostra l’aveva atteso e trasformato. Da quel momento e dall’anno 1875 quando la Provvidenza gli fece pervenire questa effigie della SS.ma Vergine del S. Rosario ora venerata in tutto il mondo, qui sbocciarono miracoli da non potersi contare come frutti copiosi dell’albero della fede. Nacquero prodigi come sbocciano primule, ciclamini, iris nel silenzio del bosco» (Saluto di S. E. mons. Carlo Liberati Arcivescovo Prelato di Pompei al Santo Padre Benedetto XVI - Pompei, 19 ottobre 2008).   

   Il beato Bartolo Longo cercava un’immagine della Madonna del Rosario dinanzi alla quale la nascente Confraternita di Pompei si soffermasse in meditazione durante la preghiera. È noto che quando il 13 novembre 1875 il beato Bartolo Longo vide il quadro presso il Conservatorio del Rosario dov’era la proprietaria, sr Maria Concetta de Litala, rimase esterrefatto per la bruttezza del dipinto. È altrettanto noto che, non potendo fare altrimenti per la mancanza di tempo e di denaro, fece ospitare la tela sul barroccio di un carrettiere che ritornava a Pompei portando il letame delle stalle di Napoli da vendere come concime ai contadini della Valle di Pompei. Al riguardo possiamo commentare che la kenosis della Madre per la nostra salvezza non fu inferiore a quella del Figlio.   Le condizioni estetiche del dipinto richiesero l’intervento di numerosi restauri prima di poterlo esporre alla venerazione dei fedeli. I ripristini riscoprirono anche l’originaria immagine di santa Caterina da Siena, nascosta dietro le sembianze di santa Rosa da Lima, canonizzata alla fine del secolo XVII, epoca a cui si fa risalire la realizzazione del quadro. Evidentemente la popolarità della santa peruviana suggerì un cambiamento all’artista riguardo la beata da raffigurare.

 

 


 

Quando, dopo il restauro, il quadro venne esposto alla venerazione si osservò da parte dei fedeli e del beato Bartolo Longo un graduale, progressivo ingentilimento dei lineamenti della Beata Vergine. Nella Storia del Santuario scrive il Beato: “Da quel giorno cominciò nella  fisionomia della Celeste Regina a ravvisarsi una bellezza, una maestà e una confidenziale dolcezza, che non si ravvisavano innanzi. […] napoletani e forestieri i quali qui pervengono ogni giorno, riconoscono in questa Immagine qualche cosa che attira ad ammirarla, non per il magistero di arte, non essendo questa certamente una delle Vergini di Raffaello, ma sì invece per la forza arcana che s’impone, e trae, quasi senza volerlo, ad inchinarsi a pregare”.

  

 

 

Sono innumerevoli le grazie ottenute per intercessione della Beata Vergine del Rosario, testimoniate sia da umili ex-voto di ringraziamento sia da pregiati doni. A proposito di questi ultimi, il beato Bartolo Longo scrive del cumulo di pietre preziose di grande valore che “ornano artisticamente la celestiale Immagine, e sono come tante voci di fedeli, che da ogni parte del mondo attestano le grazie della Vergine Santissima di Pompei”.

 


Le pietre preziose che ornavano il dipinto divennero così numerose da costituire un pericoloso sovraccarico per la tela, sollecitando da parte del vescovo Aurelio Signora la necessità di un restauro che ebbe luogo nel 1965 per opera  dei Benedettini Olivetani i quali dirigevano l’Istituto di Restauro del libro a Roma.

 Il primo intervento fu riportare il dipinto su una nuova tela, poiché quella primitiva risultava gravemente danneggiata dai fori realizzati per applicare le gemme. Successivamente si procedette a riprendere l’immagine originaria del quadro. Nel togliere i vari strati di colore, l’azzurro oltremare del manto della Madonna lasciò il posto a un bleu scuro a riflessi verdi, con orlatura d’oro ai lembi. Venne riscoperto il piede destro della Vergine Maria, prima nascosto dalla veste. Alla base del trono ai piedi della Madre di Dio apparve un libro, che potrebbe essere la Bibbia oppure più presumibilmente la Regola dell’Ordine Domenicano, come segno dell’affidamento alla Vergine del Rosario compiuto da parte di san Domenico e santa Caterina i quali pongono sotto la sua protezione l’Ordine (cfr. Salvatore Sorrentino, Iconografia del Rosario, “Il Rosario e la Nuova Pompei”, 2008-2009).

   A conclusione del restauro, il 23 aprile 1965 il pontefice Paolo VI incoronò nella basilica di S. Pietro la celeste rappresentazione. Le corone della Madre e del Figlio e la corona di dodici stelle che circonda entrambi non furono poste sulla tela, bensì su una lastra trasparente di plexiglass collocata a qualche centimetro da essa.



 

La sacra immagine è ritornata a piazza S. Pietro per desiderio del beato Giovanni Paolo II che nel 2002 volle firmare accanto ad essa la Lettera Apostolica Rosarium Virginis Mariae nella quale introdusse i Misteri della Luce da lui elaborati, indicendo contestualmente l’Anno del Rosario.

   Era stato papa Giovanni Paolo II a beatificare il 26 ottobre 1980 Bartolo Longo che come pochi seppe rendere l’amore e la devozione verso la Beata Vergine del Rosario, un gesto concreto d’amore cristiano verso chi ha più bisogno: istituì per le opere sociali un orfanotrofio femminile, consegnandolo alla dedizione delle suore Domenicane Figlie del Rosario di Pompei, da lui fondate. Diede origine all’Istituto dei Figli dei Carcerati in controtendenza alle teorie di Cesare Lombroso, fondatore dell’Antropologia criminale, il quale, influenzato dal Positivismo francese e inglese, asseriva l’ereditarietà in senso deterministico dei comportamenti criminali che renderebbe impossibile l’adattamento alla società del soggetto che delinque e dei suoi discendenti, in un orizzonte dov’è assente sia la libertà umana sia la Grazia.  

 

Bartolo Longo chiamò a guidare l’Istituto i Fratelli delle Scuole Cristiane. Ancora, fondò nel 1884 il periodico “Il Rosario e la Nuova Pompei” che a tutt’oggi si stampa in centinaia di migliaia di copie, diffuse in tutto il mondo: la stampa era affidata alla tipografia da lui istituita per dare un avvenire ai suoi orfanelli. Diede vita associandoli al Santuario ad asili, scuole, ospizi per anziani, laboratori, l’ospedale, la Casa del pellegrino. Nel 1893 Bartolo Longo offrì al papa Leone XIII la proprietà del Santuario e di tutte le opere pompeiane; qualche anno più tardi rinunziò anche all’amministrazione che il papa aveva lasciato alla sua cura.

 

  

 

 L' Arcivescovo e Delegato Pontificio del Santuario, mons. Carlo Liberati, ha ripreso e attualizzato le opere sociali legate al Santuario mettendole in collegamento con le problematiche della società odierna, particolarmente con i drammi contemporanei legati all’infanzia  e all’adolescenza. Citiamo la  “Comunità Incontro” per il recupero dei tossicodipendenti e degli alcolizzati; il “Gruppo  Appartamento” costituito per l’ospitalità residenziale delle giovani prossime ai 18 anni o già maggiorenni; la “Casa Emmanuel” per l’accoglienza di gestanti, madri e bambini in difficoltà; le sedi del “Centro di Aiuto alla Vita” (CAV) che sostiene donne in difficoltà che decidono di non abortire, e che accolgono la vita nascente, con la certezza di essere poi dal CAV aiutate; il “Movimento per la Vita” (MpV) che anima e promuove iniziative per difendere la vita dal momento in cui sboccia nel grembo materno fino alla fine; il Centro di Ascolto “Myriam” aperto particolarmente all’accoglienza delle donne immigrate; la Casa famiglia “Giardino del Sorriso”, per l’accoglienza residenziale di minori fino a 10 anni: tutte opere fiorite intorno alla Basilica della Beata Vergine del Santo Rosario di cui è in atto il restauro. Tutte opere sorte nell’intento di continuare a  tradurre le parole del Vangelo in opere.

 

 


 

 

 

Con preghiera di citare la fonte in caso di utilizzazione del testo per motivi di studio.   

 

 

 

 

 

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Domenica, 09 Ottobre 2011 18:12

Maria nell'Ascensione

 La diocesi di Salerno-Campagna-Acerno indice nel 1996 l’Anno Mariano Diocesano.

   Adelaide Trabucco approfondisce il tema mariologico all’interno delle creazioni artistico e, seguendo per la ricerca un'impostazione ecumenica, rileva come le invenzioni iconografiche siano numerose e diversificate sia nell'Oriente sia nell'Occidente. Nel seguente articolo pubblicato su "Agire" (25 maggio 1996), l'Autrice ricerca la presenza della Beata Vergine Maria nell’Ascensione del Figlio, una presenza che non è menzionata nel Vangelo, ma che si ritrova nella tradizione liturgica e iconografica.

 

  


                                   

 

 

 Con preghiera di citare la fonte in caso di utilizzazione del testo per motivi di studio. 

 

 

 

  

                                     

 

                        

 

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Domenica, 12 Giugno 2011 18:18

Il procedere della Resurrectio in Avagliano

Proponiamo la presentazione della scultura Resurrectio di Vincenzo Avagliano, che  ha avuto luogo nella cerimonia di inaugurazione  avvenuta il 14 maggio 2011 a  Castel San Giorgio. L'opera è stata posta su un bastione del sagrato che collega la Chiesa parrocchiale di S. Maria delle Grazie e la chiesa settecentesca di Maria SS. Immacolata curata dell'omonima Arciconfraternita.

 

 

 

Vincenzo Avagliano e il procedere della Resurrectio

 

 di Adelaide Trabucco

 

 

Non sono frequenti le opere in scultura che hanno come tema la Risurrezione. Tra gli scultori che  si sono cimentati con il suddetto soggetto ricordiamo Francesco Messina: nella Risurrezione di San Giovanni Rotondo rappresenta Cristo il quale nel mantello  che gli fa corona porta con sé il vibrare tempestoso dell’evento. Ancora, Pericle Fazzini nella Risurrezione della Sala Nervi, la Sala delle Udienze in Vaticano, Cristo si eleva risorgendo da un foltissimo intrico di forme semiastratte che vogliono significare l’Orto del Geetsemani.    

   Come mai è così poco frequente tale argomento in scultura? La Risurrezione è un tema che sotto il profilo artistico richiede l’espressione della dinamica, per quanto oggettivamente impenetrabile essa sia, legata all’evento del passaggio dalla morte alla vita: è evidente che la materica staticità di una scultura in quanto tale è in antitesi con il movimento.  
  Ricordiamo il tentativo, assunto poi a valore paradigmatico, di visualizzare il movimento in scultura operato da Umberto Boccioni, in Forme uniche nella continuità dello spazio.  

  Ebbene, proprio il coniugare la dimensione della scultura con la dimensione del movimento è la sfida che accoglie e vince l’opera di Vincenzo Avagliano. In Resurrectio l’artista fa vedere il processo del percorso dalla morte alla vita: Cristo si stacca dalla croce e si rivela nelle sue sagome corporee che si succedono l’una dopo l’altra, quasi a mostrare i vari passaggi dell’avvenimento misterioso per eccellenza.  

   Cristo: le braccia aperte in un gesto che dalla crocifissione trapassa nella risurrezione verso la quale Egli procede inarrestabilmente, il polso destro legato al braccio della croce, il polso sinistro che ancora mostra il laccio che lo legava, ma ormai libero e staccato dal legno, le braccia protese in avanti a varcare e superare i limiti della materia, del tempo e dello spazio.  

   Cristo risorge non dal sepolcro, ma direttamente dalla Croce, a sottolineare come per l’Uomo-Dio la morte sia tutt’uno con la risurrezione, in quella inscindibile unità espressa dall’annuncio apostolico delle origini, quando la Chiesa nascente proclamava il cherigma di Cristo-morto-e-risorto.   

   A sottolineare, anche, come dal sacrificio della croce e quindi dalla sofferenza nasca la vita, per se stessi e per gli altri.   

   Nei mosaici di Mirco Ivan Rupnik, dalla Cappella Redemptoris Mater in Vaticano, al Convento delle Orsoline a Verona, la Risurrezione di Cristo, che nell’iconografia bizantina si svolge come Discesa agli Inferi dove il Signore discende per riportare con sé le anime dei giusti, il Cristo, luminoso e carico di vitale energia, si staglia contro il buio fitto che significativamente allude alle tenebre degli inferi. Parimenti il Cristo di Vincenzo Avagliano risorge nella sua imponenza michelangiolesca: una realtà nuova, non pienamente trasfigurata nel corpo di luce e che conserva ancora i segni delle lesioni dove san Tommaso Didimo, il gemello della nostra incredulità, commenta mirabilmente sant’Agostino, pose le sue dita e toccò le trafitture delle ferite.   

   Una materia dove, in un rapporto tumultuoso di chiari e di scuri, la luce combatte con le ombre e vince, affermandosi in un corpo che si staglia contro il suo stesso corpo inchiodato sulla croce, ancora avvolto dal mistero tenebroso della morte.  

   Quel  mistero che permane percepibile nel viso del Cristo, gli occhi socchiusi a guardare indietro, a non dimenticare quelli che rimangono avvolti nelle tenebre e nell’ombra di morte che egli stesso, Uomo-Dio, ha attraversato: “Poiché dunque abbiamo un megas archiereus, un grande sommo sacerdote che ha attraversato i cieli, Gesù, Figlio di Dio, manteniamo ferma  la professione della nostra fede. Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostra infermità, essendo lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato. Accostiamoci dunque con fiducia al trono della grazia, per ricevere misericordia e trovare grazia ed essere aiutati al tempo opportuno” (Eb 4, 14-16).

 

 

 

 Con preghiera di citare la fonte in caso di utilizzazione del testo per motivi di studio. 

 

 

 

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L'icona della Madre di Dio della Tenerezza è stata scritta da Adelaide Trabucco nel 2005 per la ristrutturazione della Chiesa dedicata a Maria SS. del Carmine e San Giovanni Bosco in Salerno, ristrutturazione per la quale Adelaide Trabucco ha elaborato anche il progetto cromatico, e progettato e coordinato la realizzazione dei diversi interventi messi in opera.

   L'ubicazione dell'icona, a circa 17 metri di altezza, spiega le sue dimensioni: m. 2,40 (asse verticale) x m.2,10 (asse orizzontale). La sua forma ottagonale è pensata per essere collocata sull'arco trionfale che apre al presbiterio della Chiesa, relazionandosi nel contempo con la morfologia architettonica dell'edificio caratterizzato non da linee curve, bensì da linee rette e/o oblique.

   L'icona, seguendo una sensibilità ecumenica, si ispira al prototipo della Madre di Dio di Vladimir, sec. XII, appartenente all'iconografia della Madre di Dio detta Eleousa, la Misericordiosa, o della Tenerezza a motivo dell'affettuosità dei gesti tra la Madre ed il Bambino. Nell'immagine la purezza delle linee e la nitida essenzialità delle forme si uniscono ad una intensa comunicazione interpersonale tra la Madre di Dio e lo spettatore, il quale avverte fortemente su di sè lo sguardo materno, uno sguardo capace di ricondurlo nel mistero della Misericordia di Dio. La Madre, difatti, inclina lievemente il capo, a toccare la guancia del Figlio, il quale le corrisponde rivolgendole una carezza che la circonda amorosamente. E, in lei, abbraccia e consola ciascuno di noi, divenendo portatore ed operatore di misericordia e di amore.

Pubblicato in data: 15-01-2011

 

 

 

 

Con preghiera di citare la fonte in caso di utilizzazione del testo per motivi di studio. 

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Lunedì, 09 Maggio 2011 14:15

La Madonna del giardino

All'Anno Mariano Diocesano celebrato nella Diocesi di Salerno-Campagna-Acerno nel 1996 risalgono una serie di ricerche svolte da Adelaide Trabucco sull'iconografia mariana. Qui viene presentato, arricchito da un selezionato corredo iconografico, un articolo pubblicato su "Agire" (6 luglio 1996) che illustra come dall'interpretazione in senso mariano del Cantico dei Cantici, precisamente dal passo in cui l'amata viene chiamata Hortus conclusus, "Giardino sigillato" (Ct 4,123), nasce nel Tardo Medio Evo il tipo iconografico della Madonna del Giardino, o Madonna del Roseto, o Madonna dell'Umiltà.

   Adelaide Trabucco rileva che nella poetica medievale il giardino è uno spazio chiuso nel quale la natura ritrova la purezza originaria della Creazione. La Vergine regale, ornata dalle gemme di tante virtù, siede umilmente sul prato erboso rilucente di fiori del simbolico Hortus conclusus. Ella che, cantava san Bernardo di Chiaravalle, se piacque a Dio per la sua verginità, ne divenne la madre per la sua umiltà...

 

 

 

LIPPO DI DALMASIO: Madonna in umiltà - 1390 ca. - National Gallery, Londra

 

 

Con preghiera di citare la fonte in caso di utilizzazione del testo per motivi di studio. 

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Mercoledì, 06 Aprile 2011 14:22

L'icona della Madre di Dio di Vladimir

L'articolo, pubblicato sul settimanale Agire nel 1995 (24 febbraio) studia, seguendo una sensibilità ecumenica, la Madre di Dio di Vladimir, icona celeberrima per la sua bellezza ed intensità espressiva.

 

 

Con preghiera di citare la fonte in caso di utilizzazione del testo per motivi di studio. 

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